Il complicato dibattito sulla riforma delle pensioni sta per tornare nel vivo. A settembre sindacati e governo torneranno a confrontarsi sulle possibilità di trovare una soluzione per vitare il ritorno alla Fornero con la scadenza di Quota 103. Ma anche per tutelare maggiormente lavoratori gravosi e donne.

Dopo la riforma di Opzione Donna con la legge di bilancio 2023, infatti, migliaia di lavoratrici si sono ritrovate a fare i conti con nuove restrizioni che ne impediscono l’uscita anticipata rispetto a prima.

Oltre al fatto che l’età per la pensione anticipata è salita a 60 anni (da 58) introducendo altresì differenze fra coloro che hanno figli (avvantaggiate con sconti sui requisiti anagrafici fino a 2 anni) e che non ne hanno.

Opzione Donna verso la fine?

Con l’introduzione di restrizioni in termini di condizioni sociali di svantaggio in cui la lavoratrice deve necessariamente trovarsi (caregiver, licenziata o invalida), il pensionamento anticipato con Opzione Donna è diventato di fatto una prerogativa riservata a pochissime elette. Le domande di pensione presentate all’Inps nei primi sei mesi del 2023 sono letteralmente crollate evidenziano anche un trend in progressivo calo.

E’ diventato difficile, infatti, combinare i requisiti anagrafici, contributivi (almeno 35 anni di contributi interamente versati) e soggettivi per ottenere il diritto alla prestazione con Opzione Donna. D’altra parte, anche il governo, ha detto chiaramente che la deroga pensionistica stava cominciando a costare troppo.

Così facendo, d’altra parte, i requisiti richiesti per Opzione Donna somigliano sempre più a quelli previsti per Ape Sociale, altra misura pensionistica a vantaggio di lavoratori e lavoratrici in difficoltà e meritevoli di maggior tutela. Al punto che la somiglianza fa sì che la prima sia diventata quasi un doppione della seconda, col rischio che a fine anno Opzione Donna non sia rinnovata.

Donne in pensione a 63 anni

Forse l’obiettivo del governo è proprio quello di arrivare ad abrogare Opzione Donna lasciando come pensione anticipata residuale solo Ape Sociale che prevede l’uscita a 63 anni di età.

Tre anni in più rispetto a prima. Difficile sapere come andranno le cose, ma è probabile che se dei tagli dovranno essere fatti, potrebbero essere proprio in questa direzione, cioè nei confronti di una misura divenuta quasi inutile.

Se Opzione Donna dovesse sparire, per le lavoratrici resterebbe dal 2024 solo l’uscita prevista da Ape Sociale a 63 anni, con gli stessi requisiti sociali. Quindi tre anni in più che per lo Stato significa un risparmio sui pagamenti delle pensioni future. Anche perché Ape Sociale, a differenza di Opzione Donna, prevede un tetto massimo di pensione a 1.500 euro al mese, niente tredicesima ed esclusione dalla perequazione automatica. Fino al raggiungimento dei requisiti per la pensione di vecchia. Converrebbe alle lavoratrici questa nuova opzione?

A vantaggio della lavoratrice vi sarebbe solo il requisito contributivo che è inferiore di 5 anni rispetto a quanto previsto da Opzione Donna. E che, alla fine dei conti, potrebbe non essere nemmeno tanto vantaggioso cisto che il calcolo dell’importo della pensione si basa anche sui contributi versati. Quindi la combinazione di età e contributi potrebbe abbracciare una platea più ampia di aventi diritto, sia fra le autonome che le dipendenti, ma non sarebbe una soluzione ideale. Per Ape Sociale bastano infatti 30 anni di contributi (che possono scendere fino a 28 in presenza di figli) se appartenenti alla categoria di caregiver, invalide o disoccupate.

Riassumendo…

  • Opzione Donna potrebbe non essere rinnovata nel 2024.
  • Per le lavoratrici caregiver, licenziate o invalide resterebbe solo la possibilità di uscire in anticipo con Ape Sociale.
  • L’anticipo pensionistico scatterebbe solo a 63 anni, non più a 60 come previsto da Opzione Donna.