La scelta per una pensione integrativa non è affatto semplice. Esistono centinaia di fondi pensione sul mercato e capire qual è quello giusto, quello che rende di più, il prodotto migliore per integrare la pensione pubblica un domani è impresa difficile. Spesso ci si affida ai prodotti offerti dalle aziende o dal comparto di appartenenza.

Ma, al di là della scelta fra fondi negoziali, fondi aperti o assicurativi, all’interno dei quali esistono diverse linee di investimento proposte e previste dalla Covip in base alla propensione al rischio, vediamo come si alimentano.

Cioè da dove si prendono i soldi per costituire quel gruzzoletto che servirà poi per ottenere una rendita integrativa della pensione.

Come si versano i soldi per la pensione complementare

Come noto, il fondo pensione è alimentato principalmente attingendo dal Tfr o Tfs del lavoratore dipendente. Per gli autonomi e liberi professionisti il meccanismo non cambia, ma non essendo previsto accantonamento per il trattamento di fine rapporto, i versamenti avvengono in via del tutto autonoma.

La fonte principale di alimentazione per la previdenza complementare è quindi il Tfr. Il prelievo avviene ogni mese dal momento della sottoscrizione del contratto di adesione al fondo pensione prescelto. Per i periodi pregressi, il Tfr non viene intaccato e rimane in carico all’azienda. Quindi se un lavoratore decide oggi di aderire a un fondo pensione dopo 10 anni di lavoro, il periodo pregresso di accumulo non sarà interessato.

Dal punto di vista fiscale, il Tfr destinato al fondo pensione non è tassato, quindi è destinato al lordo della cifra maturata. Quando, però, sarà il momento di andare in pensione, si applicheranno le imposte sulla rendita (o sul capitale in caso di riscatto) in una misura che varia dal 9 al 15 per cento, in base al numero di anni di iscrizione alla previdenza integrativa. Tasse che potrebbero cambiare nel 2024.

Il contributo aziendale al fondo per la pensione complementare

Il fondo pensione è alimentato, oltre che dal Tfr in via principale, anche da un contributo aziendale.

Questo non è fisso, ma varia in percentuale in base alla tipologia di contratto di lavoro e al comparto di appartenenza. Le percentuali variano, quindi, da settore a settore.

Il contributo nell’industria è maggiore che nell’artigianato, ad esempio. Così come all’interno del comparto industriale bisogna distinguere fra i vari settori: per la lavorazione del legno e arredamento, ad esempio, il datore di lavoro versa il 2,3% della retribuzione lorda, mentre per la produzione di gomma e plastica il contributo è dell’1,56%.

Da rilevare che il contributo del datore di lavoro scatta solo in caso di adesione al fondo pensione negoziale e va di pari passo con il prelievo del Tfr da destinare allo stesso fondo pensione. Detto contributo, può arrivare a cifre importanti se il livello di stipendio è elevato. E non è riconosciuto in busta paga, alternativamente all’adesione al fondo pensione.

Il contributo facoltativo del lavoratore

Vi è infine anche la possibilità di incrementare la propria posizione assicurativa nel fondo pensione con contributi individuali facoltativi. Per gli autonomi vi è ampia e libera scelta, mentre per i lavoratori dipendenti la possibilità è limitata in percentuale dagli accordi aziendali con il fondo negoziale.

Come previsto dagli accordi collettivi, il contributo facoltativo deve essere calcolato nel rispetto della misura minima dell’1% della propria retribuzione. Ogni versamento è fiscalmente deducibile fino all’importo annuale di 5.164 euro.

Riassumendo…

  • La pensione complementare è alimentata in via principale dai versamenti del Tfr o Tfs del lavoratore dipendente.
  • E’ importante anche il contributo del datore di lavoro che varia in base a diversi fattori.
  • Anche il lavoratore stesso può contribuire con somme aggiuntive al proprio fondo pensione.