Andare in pensione prima o aspettare. Uscire dal lavoro sfruttando le pensioni anticipate ordinarie o in deroga, oppure aspettare di arrivare all’età per la vecchiaia. Un dubbio “amletico” questo, che riguarda tutti quei lavoratori che possono scegliere. Perché per esempio c’è il senza lavoro che vuoi o non vuoi, deve “accontentarsi” di quello che può prendere senza opzioni. Inoltre, la scelta se uscire o meno non può non dipendere anche dalle condizioni di salute di un lavoratore, dal logorio fisico che ha o da altre esigenze personali e familiari che magari possono far propendere per una via rispetto che un’altra.

Ma se c’è una cosa che può essere considerata subito come fattore fondamentale per poter scegliere al meglio tra lavoro e pensione, è senza dubbio l’importo del trattamento. Il calcolo della pensione e l’importo della stessa possono incidere e di molto sulla scelta. A tal punto che la nostra redazione è tempestata di richieste di chiarimenti sugli importi delle pensioni che si prendono a una determinata anzianità contributiva.

“Buonasera, mi chiamo Ernesto e volevo chiedervi quanto per me è conveniente prendere la pensione subito con 41 anni di contributi e quota 103 e quanto ci guadagnerei a restare al lavoro altri due anni. Prendo 23.000 euro di stipendio lordo all’anno, e non capisco bene che genere di pensione andrei a percepire oggi. Mi potete spiegare meglio voi, magari con gli opportuni esempi?”

“Salve, volevo chiedervi se potete spiegarmi che pensione mi spetta con 22 anni di contributi. Perché ho 64 anni di età e rientro nel sistema contributivo a tal punto che posso sfruttare la pensione anticipata contributiva. Ma ho paura di perdere troppa pensione non aspettando i 67 anni di età lavorando.”

Pensione anticipata o di vecchiaia, ecco le differenze di importo e la guida alla convenienza

Andare in pensione subito o ritardare l’uscita.

Tutto dipende da che vuole fare il lavoratore, e soprattutto se vuole rimetterci qualcosa come assegno o se potrebbe restare al lavoro e rimandare. Perché a conti fatti uscire prima dal lavoro non è scevro da penalizzazioni di assegno. E adesso vedremo perché. Penalizzazioni dovute alle regole di calcolo delle pensioni e al meccanismo con cui l’INPS liquida le pensioni. E lo faremo con esempi che serviranno a capire cosa un lavoratore deve considerare scegliendo l’una o l’altra strada. E i nostri lettori ci danno lo spunto, anche come età e contributi, per essere più chiari possibile. Infatti prenderemo ad esempio un lavoratore che ha 41 anni di contributi e 62 anni di età, come il primo, cioè con requisiti già pronti per la quota 103. E poi un lavoratore che ha iniziato a versare contributi dopo il 1° gennaio 1996 e ha accumulato 22 anni di versamenti a 64 anni di età.

Perché uscire prima non conviene dal punto di vista degli importi del trattamento

Iniziamo subito con il dire che per entrambi, uscire a 67 anni di età con la pensione di vecchiaia ordinaria è la soluzione più utile se l’intenzione è quella di massimizzare l’assegno previdenziale che si incassa. Non possono esserci alternative a questo ragionamento, perché proseguire la carriera significa aumentare il montante contributivo e centrare un coefficiente di trasformazione migliore. Il lavoratore con 23.000 euro di stipendio lordo annuo, versa di contributi per ogni anno, qualcosa come 7.600 euro. Esattamente 7.590 euro di contributi, ovvero il risultato del 33% (aliquota contributiva per i dipendenti nel FPLD dell’INPS) di 23.000 euro. Va detto che questi 7.590 euro devono essere rivalutati in base al tasso di inflazione di ogni anno, a partire da quello di versamento. Ipotizzando per assurdo che 7.600 all’anno sia la media dei contributi versati già rivalutati, il montante del nostro lavoratore con 41 anni di contributi sarebbe pari a 311.190 euro.

I coefficienti di trasformazione 2023

Per il 2023 sono stati aggiornati i coefficienti di trasformazione del montante contributivo in pensioni. E per l’esattezza essi sono, in base all’età di pensionamento:

  • 57 anni 4,27%;
  • 58 anni 4,38%;
  • 59 anni 4,49%;
  • 60 anni 4,62%;
  • 61 anni 4,74%;
  • 62 anni 4,88%;
  • 63 anni 5,03%;
  • 64 anni 5,18%;
  • 65 anni 5,35%;
  • 66 anni 5,53%;
  • 67 anni 5,72%;
  • 68 anni 5,93%;
  • 69 anni 6,15%;
  • 70 anni 6,40%;
  • 71 anni 6,66%.

Il primo lettore che ha 41 anni di contributi e un montante pari a 311.190 euro, se esce con la quota 103 a 62 anni godrà di una pensione subito pari a 15.186 euro annui. Sarebbe una pensione pari a 1.168 euro al mese. Per assurdo, uscendo a 67 anni, cioè aspettando la pensione di vecchiaia senza aggiungere contributi (se viene licenziato per esempio), prenderebbe una pensione pari a 17.800 euro, pari a 1.369 euro al mese circa. Ma continuando a lavorare per altri 5 anni aggiungerebbe ben 37.950 euro di montante contributivo. Che significa una pensione da 19.970 euro annui o 1.536 euro mensili.

La pensione anticipata, il calcolo contributivo e la convenienza all’uscita

Meno vantaggioso restare al lavoro per il nostro secondo lettore, perché è meno la differenza in termini di coefficienti di trasformazione tra i 64 e i 67 anni. E sono meno i contributi aggiuntivi che da 5 anni passano a 3. Con 22 anni di contributi il lettore ha, con le medesime regole di calcolo, anche ipotetiche utilizzate per il primo lettore, un montante di 166.980 euro. Significa che uscendo con la pensione anticipata contributiva a 64 anni, otterrebbe una pensione da 8.650 euro annui, poco più di 665 euro al mese. A dire il vero il nostro lettore non potrebbe andare in pensione con questa misura. Perché la pensione anticipata contributiva si può prendere solo se l’assegno è pari o superiore a 2,8 volte l’assegno sociale. Parliamo di una pensione che deve superare i 1.400 euro al mese. Ma per comprendere il meccanismo l’esempio calza a pennello. Anziché uscire a 64 anni di età, se il lavoratore opta per i 67 e lavora altri tre anni, godrebbe di una pensione annua di 10.854 euro circa, oltre 834 euro al mese.

Un rapido ragguaglio sul meccanismo dei coefficienti di trasformazione del montante contributivo in pensione

L’effetto dei coefficienti di trasformazione, come è naturale che sia, si fa sentire esclusivamente sulle quote di pensione contributive. Il che rende poco attendibile il calcolo effettuato per il nostro primo lettore. Il meccanismo di calcolo della prestazione però è quello ed effettivamente non è poca la differenza di assegno se uno decide di lavorare 3 o 5 anni in più o posticipa semplicemente l’uscita al raggiungimento dell’età pensionabile canonica. Ricapitolando, per poter conoscere al 100% la pensione spettante in base all’età di uscita bisogna prima calcolare il proprio montante contributivo complessivo. Dopo di che bisogna moltiplicare il montante per il coefficiente di trasformazione (senza dimenticare di applicare il “per cento”) e poi dividere il risultato per 13 come sono le mensilità della pensione spettante. Va ricordato infine che per le uscite a età non piena al 100%, magari a 65 anni e 5 mesi invece che a67 anni e un mese, bisogna aggiungere al coefficiente di trasformazione di quella età, tanti dodicesimi dello stesso coefficiente.