I lavoratori italiani di fronte alla pensione, si dividono di fatto in due categorie. Una riguarda i lavoratori che avendo iniziato a lavorare prima del primo gennaio 1996, rientrano nel sistema misto. Gli altri invece rientrano tutti nel sistema contributivo. Per questi ultimi ci sono vantaggi in termini di età pensionabile, anche se sono vantaggi collegati a determinate condizioni da rispettare. E poi ci sono svantaggi, perché nemmeno a 67 anni si è sicuri della pensione. Ma parlando dei vantaggi, c’è chi vorrebbe estenderli anche i misti, perché si tratta a tutti gli effetti di una sorta di discriminazione quella a cui assistiamo ogni anno in materia previdenziale.

Pensione a 64 anni: le evidenti discriminazioni del sistema previdenziale riguardano molti lavoratori

Una discriminazione che, come vedremo da tre quesiti dei lettori, viaggia in due direzioni. Domande di pensione respinte sia per i contributivi che per i misti, e per motivi diversi. La soluzione a queste discriminazioni, per alcuni tecnici, sarebbe anche la soluzione alla necessità di riforma delle pensioni.

“Buonasera, mi chiedo perché l’INPS mi ha respinto la domanda di pensione presentata a maggio. La motivazione è che non raggiungo una pensione di importo pari a 750 euro circa al mese. Ma io ho 67 anni di età e 22 anni di contributi, perché devo restare al lavoro quando 67 anni di età dicono bastino persino per l’assegno sociale?”

“Volevo sapere come mai, per colpa di 6 mesi di lavoro svolto da giovane, non posso andare in pensione a 64 anni di età dal momento che poi i miei 26 anni di contributi sono tutti successivi al 1995? Io a quei 6 mesi di lavoro giovanile, rinuncerei, ma mi dicono che non si può.”

“Salve a tutti, volevo porvi un quesito, perché mi hanno respinto la domanda di pensione anticipata con il contributivo a 64 anni. Ho 25 anni di lavoro e rientro come età e contributi nella misura.

Ma l’INPS pretende che la mia pensione sia pari a oltre 1.400 euro al mese. Ma chi è che con 20 anni di contributi può arrivare a una pensione così alta? A questo punto mi sembra una misura che non serve a nessuno. A questo punto che la togliessero dal sistema.”

I trattamenti contributivi a età variabili dai 64 ai 67 anni, ma ricchi di paletti e limitazioni

Il lavoratore che ha iniziato la carriera prima del primo gennaio 1996, considerato dal sistema come contributivo puro, si trova a poter andare in pensione a 64 anni di età con 20 anni di contributi. ma solo con una pensione pari o superiore a 2,8 volte l’assegno sociale in vigore. Che per l’anno 2023 è pari a 503 euro al mese. Significa che per poter andare in pensione oltre ai 64 anni di età e oltre ai 20 anni di contribuzione minima, serve un assegno pari o superiore a 1.405 euro circa al mese.

Non certo una cosa comune, come un nostro lettore sottolinea giustamente, per chi ha una carriera intorno ai 20 anni di contributi. Sempre per chi non ha contributi prima del 1996, la pensione di vecchiaia non sempre è ammessa a 67 anni. Perché per loro c’è il rischio concreto di dover aspettare il compimento dei 71 anni di età. Infatti il contributivo puro per andare in pensione a 67 anni di età con la pensione di vecchiaia ordinaria, deve, oltre ad aver maturato 20 anni di contributi, anche raggiungere una pensione pari o superiore a 1,5 volte quell’assegno sociale prima citato. Significa una pensione nell’ordine di 754 euro al mese almeno.

La riforma delle pensioni e perché dovrebbe partire da una estensione delle anticipate contributive anche ai misti

A 71 anni i contributivi puri vanno in pensione a prescindere dall’importo del trattamento così come accade a 67 anni per chi ha iniziato a lavorare in epoca retributiva.

Lo svantaggio o la discriminazione che dir si voglia verso i contributivi puri, è evidente. E fa da contraltare al vantaggio della pensione anticipata contributiva prima citata, anche se limitata a un importo della pensione piuttosto alto.

Proprio la possibilità di uscire a 64 anni di età però, potrebbe essere la soluzione per riformare il sistema. E senza nuove misure o novità particolari. Perché basterebbe estendere anche ai retributivi e misti, il vantaggio di una uscita a 64 anni di età con 20 anni di contributi. Cancellando il fatto che la misura riguarda sostanzialmente i lavoratori che hanno una carriera successiva al 31 dicembre 1995. Un primo correttivo anti discriminazione tra lavoratori.

Pensione a 64 anni per tutti, la soluzione facile per la riforma delle pensioni

Potrebbe essere la via più semplice, offrire a tutti la facoltà di anticipare a 64 anni la pensione. Magari rendendola più appetibile e meno rigida nei confronti di chi non ha carriere lunghe e soprattutto di chi non ha contributi versati di un certo valore. Riducendo il vincolo delle 2,8 volte l’assegno sociale ne godrebbero sia i nuovi potenziali beneficiari, cioè i misti, che i vecchi, ovvero i contributivi puri. Eccessivo pretendere una pensione oltre 1.400 euro al mese se si offre una pensione anticipata già con solo 20 anni di versamenti.

In pratica, una misura che sembra rivolgersi quasi del tutto a soggetti che hanno avuto lavori di un certo rilievo, con contributi di importo rilevante. Grandi manager di azienda, quadri e dirigenti soprattutto. Una misura che viene contestata perché sembra guardare poco alla gente comune, operai e lavoratori classici che per arrivare a pensioni che superano i 1.400 euro al mese dovrebbe aver lavorato per non meno di 40 anni. Rientrando in un altro perimetro delle pensioni anticipate, che è quello ordinario e non certo quello in deroga.

Ricapitolando, una idea di riforma delle pensioni potrebbe partire dall’anticipata contributiva per tutti, senza distinzioni tra contributivi puri e non. E senza il vincolo delle 2,8 volte l’assegno sociale (magari riducendolo a 1.5 volte come a 67 anni di età).