Andare in pensione a 64 anni sarà quasi impossibile in futuro. Una vera e propria trappola creata ad arte dal sistema governativo, targato Elsa Fornero, per dare l’impressione che le pensioni anticipate ci saranno ancora.

Si tratta dell’opzione riservata ai lavoratori contributivi puri, cioè quelli che hanno iniziato a lavorare dopo il 1995 e che possono vantare almeno 20 anni di contribuzione. Una alternativa alla pensione di vecchiaia a 67 anni di età. Fin qui nulla da dire, se non che la legge impone una condizione di non poco conto: quella di ottenere una rendita di almeno 2,8 volte l’assegno sociale.

In concreto, ci si chiede chi veramente potrà andare in pensione con simili requisiti. A conti fatti è quasi impossibile, vediamo perché.

La pensione a 64 anni per i contribuitivi puri

Nel dettaglio, la legge consente l’uscita anticipata dal lavoro al raggiungimento dell’età di 64 anni con almeno 20 anni di contributi, ma l’assegno previsto non deve essere inferiore a 2,8 volte l’importo dell’assegno sociale.

Non è cosa da poco, poiché tale soglia corrisponde oggi a 1.311euro al mese. Ma dal prossimo anno, con la rivalutazione delle pensioni al 7,3%, questa barriera sale a 1.406 euro al mese il che rende più difficile al lavoratore raggiungere il requisito. Non solo per questo motivo.

Il montante contributivo, su cui è calcolata la pensione, è rivalutato in base a parametri diversi da quelli dell’inflazione. In gergo si parla di “coefficienti di capitalizzazione” che seguono l’andamento dell’economia italiana.

Più precisamente, la rivalutazione è pari alla media delle variazioni del Pil nell’ultimo quinquennio e viene comunicata all’inizio di ogni anno dall’Istat e dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

Ne deriva che la soglia minima per accedere alla pensione anticipata (ma anche di vecchiaia) sale più rapidamente del montante contributivo. In altre parole, i due valori non si muovono di pari passo, sicché la pensione si allontana sempre di più nel tempo.

In pensione di vecchiaia a 67 anni

Anche la pensione di vecchiaia (oggi a 67 anni con 20 anni di contributi) per i contributivi puri segue lo stesso principio. La soglia minima di rendita si abbassa però a 1,5 volte l’importo dell’assegno sociale. Quindi a 702 euro al mese che nel 2023 diventeranno per effetto della rivalutazione degli assegni 754 euro al mese.

Cosa significa questo? In pratica l’accesso alla pensione di vecchiaia sarà preclusa a coloro che hanno lavorato poco e non raggiungono la soglia minima di 1,5 volte l’importo dell’assegno sociale. Al punto che 20 anni di lavoro potrebbero non essere sufficienti. Viceversa la pensione di vecchiaia sarà facilmente raggiungibile con parecchi anni di contribuzione alle spalle.

L’alternativa è quella di attendere il compimento dei 70 anni di età quando cade il vincolo della pensione non inferiore a 1,5 volte l’assegno sociale. In questo caso si abbassa anche il requisito contributivo che da 20 anni scende a 5.

La rivalutazione è penalizzante

Con la rivalutazione delle pensioni prevista ogni anno e con l’inflazione elevata, le cose cambieranno di molto, in senso restrittivo per chi deve andare in pensione e per i contributivi puri o chi è iscritto alla sola Gestione Separata, ad esempio.

Poiché tutte le rendite saliranno in base al tasso d’inflazione e il montante contributivo non seguirà di pari passo la rivalutazione, si restringe la forchetta per andare in pensione con pochi anni di contributi versati. Quasi impossibile per chi cercherà di andarci a 64 anni, ma più difficile, rispetto a oggi, per chi attenderà i 67 anni.

La domanda che a questo punto ci si pone è: quanto bisogna aver lavorato per andare in pensione a 67 anni? Ebbene, con le attuali regole in vigore il calcolo da fare è abbastanza semplice partendo dal montante contributivo.

Per ottenere una pensione di almeno 702 euro al mese con le vecchie regole occorre aver versato almeno 164 mila euro. Cifra che salirà nel 2023 a 175 mila euro circa per raggiungere la soglia minima prevista dalla legge. Ma che di fatto non si rivaluterà fino a questo livello. Quindi bisognerà continuare a lavorare.

Per chi lavora almeno 20 anni a tempo pieno, il problema non si pone. Ma per chi si ritrova buchi contributivi, periodi di disoccupazione o lavori part time, la pensione potrebbe diventare irraggiungibile anche al compimento dei 67 anni di età.