Ormai se 67 anni di età è la soglia dell’età pensionabile vigente, cioè quella che consente di andare in pensione con la quiescenza di vecchiaia, 64 anni di età è diventata la soglia delle pensioni anticipate. In effetti sembra così dal momento che alcune misure già oggi in vigore ed altre che potrebbero fare capolino nella legge di Bilancio, guardano ai 64 anni di età come la soglia utile. È evidente che essendo varie le misure che permettono un’uscita a questa età, il lavoratore dovrà scegliere quella più conveniente.

Inevitabile infatti che una pluralità di misure apra a differenze sostanziali dal punto di vista dei vantaggi di un’uscita 64 anni. 

“Buonasera, mi chiamo Matteo e a dicembre compio 64 anni di età. Non ho ancora visto con precisione quanti contributi ho, ma dovrei essere intorno ai 37/38 anni di contributi versati. 64 anni di età potrebbero aprirmi le porte del pensionamento, o almeno questo è quanto comprendo leggendo ciò che l’INPS prevede quest’anno e dando adito ad alcune indiscrezioni per quanto riguarda cosa farà il nuovo governo. Con la mia età e con la mia carriera sembra che ci siano diverse possibilità di andare in pensione, ma non capisco quale sarebbe la più appetibile. E soprattutto, cosa cambia dall’una all’altra.” 

Come si può andare in pensione a 64 anni  

In effetti chi ha scritto la lettera alla redazione ha centrato perfettamente il punto saliente della situazione. In un sistema previdenziale come il nostro, se ci sono più misure che consentono il pensionamento ad una determinata età, è evidente che ognuna di esse ha nei requisiti, delle particolarità che la rendono più o meno appetibile. Da questo punto di vista molto cambia da lavoratore a lavoratore, perché così come sono diversi i requisiti delle misure di pensione così sono diverse le carriere dei lavoratori. E quindi il rapporto costo beneficio di una misura previdenziale anticipata rispetto agli anni di età canonici, è variabile in base alla situazione di ogni singolo contribuente.

Il fatto che i 64 anni di età sono diventati l’età su cui puntare per anticipare la quiescenza rispetto alla pensione di vecchiaia è un dato di fatto. Solo per tre anni i 62 anni sono stati sufficienti (dal 2019 al 2021 con la quota 100). Già oggi infatti a 64 anni di età si esce con la pensione anticipata contributiva e con la quota 102. Ma per il 2023 potrebbero nascere altre misure che vedono nei 64 anni i limiti di uscita. Un tipico esempio sarebbe una quota 103 flessibile, oppure la pensione anticipata dai 64 anni con ricalcolo contributivo della prestazione. 

Il calcolo della pensione a 64 anni di età 

Il nostro lettore che ha una carriera più o meno prossima ai 38 anni di contributi versati, a dicembre compirà 64 anni di età. È già quest’anno sono almeno due le misure che consentono il pensionamento con queste caratteristiche. Una è la pensione anticipata contributiva, che però crediamo che il nostro lettore non possa utilizzare dal momento che con una carriera così lunga non dovrebbe riuscire a completare tutti e tre i requisiti previsti dalla misura. Sarebbe la quota 102 la via per lui. Una misura per la quale servono 38 anni di versamenti e 64 anni di età. La quota 102 probabilmente non ci sarà più l’anno prossimo dal momento che scade il 31 dicembre 2022. Però le occasioni per uscire a questa età non dovrebbero mancare dal momento che da tempo si parla di estendere la possibilità di pensionamento a 64 anni di età a molti

Da 102 a 103, cosa cambia? 

Si parla con insistenza di una quota 103, che dovrebbe sottintendere un peggioramento di un anno dei requisiti di accesso alla pensione per quotisti. Infatti si dovrebbe salire a 65 anni di età come limite di uscita.

Ciò che sarà nuovo però è il fatto che la misura potrebbe essere flessibile. In altri termini si arriverà a consentire il pensionamento anche senza aver raggiunto i 65 anni di età. In questo caso si aumenterà di un anno la dote di contributi versati che da 38 passerebbe a 39. Un’altra alternativa che potrebbe sopraggiungere per consentire l’uscita dal lavoro a 64 anni di età è la pensione anticipata contributiva estesa anche a chi ha iniziato a lavorare prima della riforma Dini. Una soluzione che eliminerebbe la discriminazione materializzatasi in questi anni per quanti hanno iniziato a lavorare prima del 1996 ed esclusi dalla pensione a 64 anni. In questo caso però ci sarebbe da accettare il calcolo completamente contributivo della prestazione. Ed è proprio su questo che si gioca la partita del rapporto costo beneficio. Infatti uscire con la quota 102 con un calcolo inevitabilmente più sfavorevole dal punto di vista dell’assegno erogato ai pensionati, non sempre sarà conveniente. 

Cosa si perde con la pensione a 64 anni di età
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Con oltre 38 anni di contributi versati, cioè la soglia utile alle misure a 64 anni, è probabile che il calcolo contributivo diventi obbligatorio. Ma come detto, assolutamente penalizzante. Infatti 38 anni di contributi versati lasciano intendere che un lavoratore abbia iniziato a lavorare molti anni prima del 1996. Chi ha maturato già 18 anni di contributi versati prima del 1996 avrebbe diritto al calcolo basato sulle retribuzioni e gli stipendi fino al 2012. Optando per il contributivo tutti questi anni calcolati con il favorevole sistema retributivo verrebbero persi. E il taglio della prestazione arriverebbe ad essere simile a quello che subiscono le donne con la loro opzione.

Quanto conta la carriera nel calcolo dell’assegno

Un taglio calcolato da tecnici ed esperti che arriverebbe a superare abbondantemente il 30% della pensione. Per questo se le misure verranno introdotte entrambe, è inevitabile che lavorare un anno di più per rimanere nel misto sarebbe consigliabile. Ripetiamo che sono calcoli che lasciano il tempo che trovano e che variano da lavoratore a lavoratore.

Infatti il discorso opposto si può fare per chi non ha una carriera lunga prima del 1996. In quel caso il calcolo contributivo riguarderebbe i periodi di lavoro successivi al 31 dicembre 1995 a prescindere. Il taglio di assegno rispetto alla pensione mista sarebbe irrisorio.