“La vita si gioca tutta tra paura e amore, tra chiusura e apertura. Davanti abbiamo porte da aprire, con coraggio. Quando non lo facciamo, la nostra vita si arresta. A volte per superare la paura serve un grande dolore. Dopo quello che ho passato, e anche grazie all’età – 60 anni – ho imparato che conta solo vivere tanti buoni istanti nel presente, senza troppa paura del futuro“, affermava Nicholas Evans.

Niente è per sempre. Ciò che oggi ci piace e ci fa bene, domani potrebbe rivelarsi inutile, oppure non in grado di soddisfare le nostre esigenze.

Cambiare, d’altronde, è normale. Si tratta di un processo che si ripresenta negli ambiti più disparati, a partire da quello privato fino ad arrivare al lavoro. Proprio soffermandosi su quest’ultimo è bene sapere come dichiarare i compensi incassati una volta cessata l’attività. Ecco come funziona.

Partita IVA, come dichiarare i compensi incassati dopo la chiusura

Chiudere la partita Iva è un’operazione di per sé semplice. Tuttavia è importante prestare attenzione alle procedure da seguire onde evitare spiacevoli inconvenienti. In particolare è bene sapere come gestire i compensi incassati una volta posta la parola fine sulla propria attività. Ebbene, in tal caso bisogna riattivare la posizione fiscale e rendicontare gli incassi attraverso l’emissione di una nuova fattura. Tali importi devono essere dichiarati come reddito professionale attraverso il Modello Reddito Persone Fisiche dell’anno di riferimento.

I chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate

Attraverso la risposta numero 218 del 26 aprile 2022 l’Agenzia delle Entrate ha fornito delucidazioni in merito al trattamento fiscale dei compensi per attività di lavoro autonomo professionale percepiti dopo la chiusura della
partita IVA, in un periodo di imposta in cui il soggetto interessato non ha più residenza fiscale in Italia. In tal caso viene sottolineato che i redditi devono essere dichiarati nel nostro Paese. Entrando nei dettagli si legge che con la

“risoluzione 20 agosto 2009, n. 232/E, è stato inoltre specificato che “La cessazione dell’attività per il professionista non coincide, pertanto, con il momento in cui egli si astiene dal porre in essere le prestazioni professionali, bensì con quello, successivo, in cui chiude i rapporti professionali, fatturando tutte le prestazioni svolte e dismettendo i beni strumentali. Fino al momento in cui il professionista, che non intenda anticipare la fatturazione rispetto al momento di incasso del corrispettivo, non realizza la riscossione dei crediti, la cui esazione sia ritenuta ragionevolmente possibile l’attività professionale non può ritenersi cessata“.

Il soggetto pertanto deve continuare ad avere la partita IVA per garantire la definizione dei rapporti ancora pendenti in seguito alla cessazione dell’attività.

A tal proposito si ricorda che come previsto dall’articolo 35, ai commi 3 e 4, del DPR numero 633/72, si deve presentare una dichiarazione agli uffici competenti entro trenta giorni dalla chiusura dell’attività. Tale lasso di tempo viene conteggiato a partire dalla data di ultimazione delle operazioni di liquidazione.

Il tutto tenendo conto delle disposizioni inerenti il versamento delle imposte, fattura e dichiarazioni. Il professionista che non dovesse più lavorare, pertanto, non può chiudere la partita Iva fino a quando vi sono ancora delle operazioni da fatturare. Ma cosa succede se un contribuente percepisce i compensi in un momento successivo alla chiusura della partita Iva? Ebbene, in tal caso il soggetto che al momento dell’incasso non svolga l’attività con abitualità, stabilità e prevalenza può decidere di imputare tali entrate nel quadro dei redditi diversi.