Opzione donna è una misura che in genere tende a dividere. C’è chi la considera di fondamentale importanza per permettere alle lavoratrici di poter uscire dal lavoro anticipatamente rispetto al solito. Ma c’è anche chi la considera una misura piuttosto limitativa dal punto di vista degli importi della prestazione e piuttosto penalizzante da questo punto di vista. Resta il fatto che si tratta di una delle misure su cui molte lavoratrici fanno affidamento per poter anticipare l’uscita dal lavoro a prescindere da tagli e penalizzazioni di calcolo degli assegni.
La nuova versione di opzione donna però ha lasciato l’amaro in bocca alle stesse lavoratrici che invece pensavano con entusiasmo alla proroga della misura. Infatti ci sono alcune limitazioni che molte hanno mal compreso o non ben interpretato.
“Mi chiamo Stella e sono una lavoratrice interessata ad uscire con opzione donna. Infatti nel corso del 2022 ho completato 59 anni di età ed anche i 35 anni di contributi che sembra siano quelli utili per poter uscire dal lavoro con questa misura di pensionamento anticipato. L’unico dubbio che ho riguarda il fatto che pare che la nuova versione di opzione donna sia altamente penalizzante per me che non ho avuto figli e soprattutto penalizzante come importi. Cosa c’è di vero in questo? Inoltre, mi potete spiegare come potrò sfruttare la misura nel 2023?”

Opzione donna 2023, la guida alla misura

Opzione donna resta una opportunità per quelle lavoratrici che, dopo lunghe carriere lavorative vorrebbero dedicarsi alla cura della famiglia, dei figli e della casa. Effettivamente opzione donna è una misura che consente questo genere di possibilità, anche se si tratta di una misura che, come la stessa nostra lettrice sostiene, è piuttosto penalizzante. E non ci riferiamo soltanto agli importi della prestazione, perché penalizzante è proprio la misura in quanto tale alla luce delle recenti novità che ne hanno accompagnato la proroga.
In effetti la misura doveva scadere il 31 dicembre 2022, ma il governo ha deciso per la proroga. Che però il Governo non ha varato in maniera secca, ma ha deciso per una proroga con correttivi.

Penalizzazioni di assegno con il regime contributivo sperimentale per le donne? Si, ma c’è altro

Nella proroga 2023 di Opzione donna le penalizzazioni sono evidenti e, forse, anche le discriminazioni. In entrambi i casi si parla delle due cose che più di altre sono state subito criticate della misura stessa. A tal punto che adesso c’è già chi vorrebbe correre ai ripari, correggendo la misura ed eliminando proprio quelle novità che l’hanno resa piuttosto limitativa e rigida oltre che piuttosto penalizzante per molte lavoratrici.

Opzione donna, cosa non va sulla pensione anticipata

Le cose che hanno portato diverse critiche nei confronti della misura sono sostanzialmente due. La prima è il collegamento delle uscite di opzione donna con i figli avuti. In altri termini, si è deciso di puntare su una misura con un requisito anagrafico differente in base ai figli avuti durante la vita delle lavoratrici. Una specie di bonus di 12 mesi a figlio fino ad un massimo di due anni. Per esempio, uscita a 58 anni per le lavoratrici che hanno avuto due o più figli durante la loro vita. Oppure, pensione a 59 anni per chi ha avuto solo un figlio. Per tutte le altre, opzione donna offe la pensione non prima dei 60 anni di età. In ogni caso servono 35 anni di contribuzione previdenziale versata. I requisiti di età e contribuzione devono essere completati entro il 31 dicembre 2022.

Opzione donna per particolari categorie

Un altro passaggio criticato della misura è quello che lega Opzione donna solo a determinate categorie di lavoratrici. Una cosa che accomuna l’opzione donna all’Ape sociale o alla quota 41 per i precoci.
In effetti Opzione donna nel 2023 funzionerà in una maniera assai particolare. In primo luogo la misura sarà destinata soltanto a invalidi, caregiver, disoccupate o assunte presso aziende sui quali sono stati attivati i tavoli di crisi. Significa che rispetto al 2022 quando la misura sostanzialmente era aperta a tutte le lavoratrici che completavano 58 anni di età se dipendenti e 59 anni di età se autonome, con 35 anni di contributi versati, adesso le limitazioni sono abbastanza evidenti e notevoli.

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Limitazioni della misura evidenti e forse anche per certi versi assurde. A tal punto che c’è chi sta pensando a metterci già le mani e nuovamente. In pratica dal momento che la misura così come è stata rinnovata sembra molto limitativa per le lavoratrici, si pensa a dei correttivi in corsa, magari tornando alla sola distinzione tra dipendenti o autonome o portando per tutte l’età di uscita a 60 anni di età. E naturalmente a prescindere dai figli avuti o dall’attività lavorativa svolta. Correttivi alla misura che eviterebbero le critiche fin qui sopraggiunte e lascerebbero al calcolo contributivo della prestazione gli unici vincoli e le uniche penalizzazioni dell’intera misura.