Ci sono categorie di lavoratori per cui la questione non è QUANDO andrò in pensione o QUANTO prenderò una volta smesso di lavorare ma SE avrò mai una pensione. Ecco per chi l’assegno INPS è un miraggio.

Lavorare dopo i 70 anni: altro che quota 100!

Mentre si parla tanto di quota 100 ci sono persone che devono continuare a lavorare anche oltre i 70 anni perché non hanno diritto alla pensione. Il sindacalista della Cgil Giorgio Raoul Ortolani nel corso della sua attività ha raccolto molte storie e testimonianze di part time e precari.

Ci sono alcuni settori lavorativi particolarmente critici: “Nel solo settore scolastico ci sono 100 mila persone in questa situazione. È il personale che si occupa delle pulizie, della ristorazione, della manutenzione degli edifici, dell’assistenza agli alunni disabili. Dovranno continuare a lavorare ben oltre i settant’anni per avere una pensione misera. Ed è solo la punta di un gigantesco iceberg che si infrangerà sull’Inps non appena i lavoratori flessibili e quelli che hanno iniziato a lavorare dopo il ’95, cioè con l’introduzione del sistema contributivo e l’avvento dei contratti precari, avranno i capelli bianchi”.

La bomba pensioni esploderà in Italia tra dieci anni

Per ora sono casi relativamente marginali che suscitano sdegno e ottengono visibilità e che, non di rado, finiscono nelle aule di tribunale in battaglie legali contro l’Inps. E così lo studio condotto alla Sapienza dal ricercatore Michele Raitano descrive un Paese concentrato su quota 100 e reddito di cittadinanza mentre dovrebbe concentrarsi su questo ordigno sottopelle e pronto ad esplodere perché il tempo a disposizione per disinnescarlo si riduce gradualmente. I numeri della ricerca parlano chiaro: il 44 per cento delle persone che hanno iniziato a lavorare dopo il ’95 hanno avuto uno stipendio annuo inferiore ai 12 mila euro lordi per almeno tre anni su dieci, un altro 20 per cento ha trascorso addirittura sei anni su dieci in questa stessa condizione.

Solamente il 36 per cento di chi lavora da vent’anni può contare su una contribuzione piena.

A confronto con il lavoratore medio, che percepisce circa 21 mila euro annui, solo il 22,7 per cento ha una contribuzione superiore. Spiega Raitano: “Sotto questa soglia c’è il 51 per cento delle donne, il 35 per cento dei laureati, il 42 per cento dei diplomati e il 58 per cento di chi si è fermato alla scuola dell’obbligo”
E’ facile prevedere che, guardando l’esito positivo delle battaglie legali, sempre più lavoratori part time o precari nelle stesse condizioni si convincano a far valere i propri diritti. Ortolani fa sapere che, solo in Lombardia, si contano circa 2.500 lavoratori pronti ad incaricare un avvocato: “L’Inps sta perdendo tutte le cause e viene regolarmente condannato a pagare 9.200 euro per i tre gradi di giudizio. Per le sole spese di lite l’Inps dovrebbe sborsare 23 milioni”.
E non riguarda solo la Scuola: nella stessa condizione si trovano altri comparti pubblici come la Sanità e cruciali sono anche alcuni ambiti del lavoro privato, dalla ristorazione alle pulizie passando per il turismo. A trovarsi in difficoltà sono soprattutto lavoratori discontinui, pentiti di non aver pensato per tempo alla pensione integrativa.