Il sistema pensioni così come lo abbiamo conosciuto negli ultimi 50 anni è destinato a scomparire. Se l’indice di denatalità continua a crescere senza inversione di rotta e l’inflazione non accenna ad arretrare sarà dura sostenere la spesa previdenziale.

Non basterà eliminare le pensioni anticipate, peraltro già drasticamente ridotte, ma servirà anche un taglio agli assegni in pagamento. Cosa che si sta già verificando con i ritardi agi adeguamenti inflattivi e con il ridimensionamento della perequazione automatica per gli importi sopra i 2.100 euro al mese.

Italia senza figli e senza pensioni

Insomma, forse non ce ne siamo ancora accorti, ma le prospettive del welfare italiano sono nere. La causa principale – come fa notare Giancarlo Blangiardo – presidente dell’Istat è causato dalla denatalità cronica. In Italia si fanno sempre meno figli e questo porterà a uno squilibrio dei conti Inps.

Nel 2021 l’Inps ha raccolto 386 miliardi di contributi, di cui 145 sono trasferimenti dallo Stato. Quindi più di un terzo dei soldi non arrivano dai contributi di chi lavora, ma dalla fiscalità generale per coprire oltre 384 miliardi di uscite, fra cui le pensioni che rappresentano la spesa maggiore. Tanto per avere un metro di paragone, tutta la spesa pubblica italiana è pari a circa 814 miliardi.

Numeri che danno la portata e il peso dei costi della previdenza sociale che continuano ad aumentare a causa dell’invecchiamento della popolazione. Logico immaginare che nel medio e lungo periodo, senza giovani lavoratori, non ci saranno più soldi per pagare le pensioni. Almeno come stiamo facendo adesso.

Le uscite anticipate

Così è bene non farsi troppe illusioni sulla riforma pensioni 2024. Quelle anticipate resteranno un ricordo del passato. Dopo il disastroso esperimento durato tre anni di Quota 100, impossibile pensare che lo Stato si farà carico di altre riforme finanziariamente non sostenibili. Abbiamo già indebitato abbastanza figli e nipoti con scellerate politiche sociali.

Quota 41, così come vogliono i sindacati e la Lega non vedrà mai la luce. Ne è la prova che quest’anno chi vuole uscire con 41 anni di contributi deve avere almeno 62 anni di età (Quota 103) e deve rinunciare a un assegno superiore a 5 volte il trattamento minimo. Solo un ricalcolo interamente contributivo potrebbe (il condizionale è d’obbligo) aprire spazi alla riforma con Quota 41.

Anche Opzione Donna è stata segata di netto limitando l’uscita a poco più del 10% delle potenziali lavoratrici rispetto allo scorso anno. E non è detto che dal 2024 sparisca del tutto, magari confluendo in Ape Sociale. Anche questo esperimento è giunto al tramonto ormai.

Culle vuote pensioni piene?

Quindi, il dado è tratto. Anche se giornali e televisioni non ne parlano, è del tutto evidente che le pensioni future saranno sempre più basse e lontane da raggiungere. Non è una questione politica, ma di dati di fatto. In Italia ci sono 23 milioni di lavoratori che sostengono 16 milioni di pensionati su una popolazione di 60 milioni. Il rapporto fra lavoratori e pensionati è in calo a 1,3 e arriverà a 1 entro il 2050. Per dirla con le parole del presidente Inps Pasquale Tridico:

“Il sistema pensionistico in un Paese con 60 milioni di abitanti non si può reggere, nel lungo periodo, con sole 23 milioni di persone che lavorano”.

In altre parole, il welfare italiano si sta lentamente sgretolando. E se non fosse stato per la riforma Fornero del 2011, avremmo fatto la fine della Grecia, senza più soldi per pagare le pensioni e gli stipendi pubblici.

Chi paga il conto

A ricordare al Governo – che ha recentemente dato il via al tavolo negoziale coi sindacati per riformare le pensioni dal 2024 – la precarietà dei conti pubblici è il presidente dell’Inps Pasquale Tridico. In una breve nota avverte che “il quadro da qui al 2029 non è positivo”. Col rischio che a quella data il patrimonio dell’Istituto sarà negativo per 92 miliardi di euro.

In questo contesto, il governo deve necessariamente evitare che la spesa per le pensioni cresca ulteriormente nei prossimi anni. Un percorso già avviato dal precedente Governo Draghi e che sarà probabilmente completato da quello Meloni.

Quota 103 terminerà il 31 dicembre 2023 e Opzione Donna, già ristretta in maniera brutale rispetto allo scorso anno, è sulla via del tramonto. Ma poi, la domanda che ci si pone è: la fine delle pensioni anticipate sarà sufficiente a contenere la spesa?