Estendere Opzione Donna anche agli uomini “va nella giusta direzione”. Lo ha detto il presidente dell’Inps Pasquale Tridico commentando l’orientamento del nuovo governo per evitare dal 2023 il ritorno integrale della Fornero.

Quota 41, come vorrebbe la Lega, invece è un’idea sbagliata perché aggrava i conti dello Stato e risolve poco. Secondo l’Inps, peserebbe per ben 18 miliardi di euro sui conti fino al 2025 aggiungendo altro debito pubblico allo Stato.

Opzione Uomo, perché conviene

Opzione Uomo, nei propositi di Giorgia Meloni, rappresenterebbe innanzitutto una soluzione di equità sociale.

Perché le donne possono abbandonare il lavoro a 58-59 anni con 35 di contributi e gli uomini no? Non è giusto. Anche ai lavoratori maschi deve essere data la stessa possibilità. E non vedono l’ora che arrivi.

E’ inoltre una riforma sostenibile finanziariamente nel tempo perché la rendita è calcolata esclusivamente con il sistema contributivo. Ma anche per via del fatto che la pensione che lo Stato deve corrispondere a 58-59 anni di età è più bassa rispetto a quanto previsto coi requisiti ordinari e con metodo di calcolo misto.

Infine, è migliore di Quota 41. In primo luogo perché l’accesso a Opzione Uomo sarebbe garantito con meno contributi (35). E in secondo luogo perché è esercitabile in maniera flessibile una volta raggiunto il requisito anagrafico. In pratica si può lasciare il lavoro quando si vuole e ogni lavoratore può fare i propri calcoli liberamente.

La penalizzazione

E veniamo al capitolo penalizzazione. Quello tanto criticato dai sindacati che si oppongono a Opzione Uomo. Come noto, il meccanismo di calcolo interamente contributivo per le lavoratrici che scelgono di andare in pensione con Opzione Donna non è conveniente.

Tuttavia la penalizzazione  della pensione deriva, non tanto dal diverso sistema di calcolo, ma dall’età pensionabile. Come noto, sul monte contributivo è applicato un coefficiente di trasformazione che è tanto più alto quanto maggiore è l’età del lavoratore.

Pertanto, l’assegno pensione risulta più basso proprio per via della giovane età pensionabile. Chi esercita Opzione Donna all’età di 64 anni, ad esempio, subisce un taglio minore rispetto a chi la esercita a 58 anni. E questo è abbastanza chiaro di principio. Oltre a ciò, bisogna poi considerare il monte contributivo accumulato con 35 anni di versamenti e il fatto che le donne generalmente versano meno rispetto agli uomini.

Insomma, a influire sul taglio dell’assegno di Opzione Uomo, non sarà tanto il metodo di calcolo, ma l’età pensionabile e il monte contributivo sul quale viene applicato il relativo coefficiente di trasformazione. Nettamente più basso rispetto a chi va in pensione a 67 anni.

E’ quindi falso quanto sostenuto dalla CGIL relativamente alla penalizzazione. Anche perché Opzione Uomo sarà sempre una scelta non un obbligo. Come lo è stato finora per Opzione Donna, adottata da una lavoratrice su quattro aventi diritto.