Fino al 2026 non cambierà l’età della pensione di vecchiaia. Lo ha stabilito il Ministero dell’Economia e delle Finanze recependo i dati Istat sulla longevità della popolazione italiana. Ed essendo il requisito anagrafico agganciato alla speranza di vita, anche l’età per andare in pensione non cresce per altri due anni.

Si tratta, per l’esattezza, del terzo congelamento biennale dell’aumento dell’età pensionabile dallo scoppio della pandemia. L’età media della popolazione non è, infatti, più aumentata e, di conseguenza, anche l’età per andare in pensione è rimasta ferma.

Ricordiamo che dal 2012 ha già subito tre rialzi fino al 2019 passando da 66 a 67 anni di età.

Speranza di vita in calo, pensioni bloccate a 67 anni fino al 2026

Ma come funziona esattamente il meccanismo che prevede l’adeguamento dell’età pensionabile alla speranza di vita? In base alla normativa prevista dalla legge di bilancio 2012 (riforma Fornero) l’età della pensione viene stabilita ogni 2 anni in base alla variazione Istat sulla longevità della popolazione italiana.

L’Istituto di statistica ha certificato una variazione negativa della speranza di vita (-0,11 di anno, pari a un mese), registrata dalla popolazione residente all’età di 65 anni corrispondente alla differenza tra la media dei valori registrati negli anni 2021 e 2022 e la media dei valori registrati negli anni 2019 e 2020.

Per legge, però, l’adeguamento dei requisiti per la pensione di vecchiaia non può essere negativo e quindi l’età rimane congelata fino al 2026. Se ne riparlerà per il 2027. Si tratta complessivamente del sesto appuntamento dal debutto degli adeguamenti alla speranza di vita. Nel 2013 si è registrato un amento di 3 mesi; nel 2016 di 4 mesi e nel 2019 di 5 mesi. Dal 2021  e fino al 2025 gli aumenti sono stati e saranno nulli.

Cosa cambia per le pensioni

L’età per la pensione di vecchiaia resta quindi confermata a 67 anni di età.

Ma non è solo questa la conseguenza del calo della speranza di vita degli italiani. Anche le pensioni anticipate non subiranno variazioni. Come noto, queste si ottengono al raggiungimento della soglia minima di 42 anni e 10 mesi di contribuiti versati (12 mesi in meno per le donne) a prescindere dall’età.

Ebbene, anche in questo caso non ci saranno variazioni per quanto riguarda l’anzianità contributiva. Così come non cambierà nulla per l’uscita prevista per i lavoratori precoci con 41 anni di contributi indipendentemente dall’età. Anche se per loro la legge aveva già previsto un congelamento dei requisiti fino al 2026.

Lo stesso dicasi per i lavoratori notturni e gli usuranti che vanno in pensione con le vecchie quote di cui al Dlgs 67/2011. Anche per loro non cambia nulla: nei loro confronti il legislatore aveva già previsto la sospensione degli adeguamenti sino al 2026.

Conseguenze sulle altre prestazioni non pensionistiche

In ultimo, il congelamento fino al 2026 dell’età per la pensione di vecchiaia influisce indirettamente anche su altre prestazioni non pensionistiche. Come, ad esempio, Ape Sociale. Chi, ad esempio, ricorre a questa opzione per uscire in anticipo dal lavoro, deve sapere che la prestazione erogata dall’Inps scade al momento del raggiungimento del requisito per l’età della pensione ordinaria a 67 anni. Lo stesso vale per chi percepisce l’assegno ordinario di invalidità al momento della trasformazione in pensione.

C’è, infine, il bonus Maroni per chi rinuncia ad andare in pensione con Quota 103. L’incentivo economico scadrà al momento del compimento dell’età per la pensione di vecchiaia. Quindi a 67 anni fino al 2026.

Riassumendo…

  • L’età media della popolazione italiana non cresce e di conseguenza l’età pensionabile non cambia.
  • Resta fermo a 67 anni di età il requisito per la pensione di vecchiaia fino al 2026.
  • L’adeguamento del requisito anagrafico alla speranza di vita avviene ogni due anni.
  • Il congelamento dell’età influisce anche sulle altre prestazioni non pensionistiche.