“Per disegnare efficacemente il tuo futuro, per prima cosa devi lasciare andare il tuo passato“, affermava Charles J. Givens. Un concetto, quest’ultimo, che ben si adatta al mondo delle pensioni. Per accedere a tale trattamento, infatti, si deve lasciare il mondo del lavoro, a patto di aver maturato determinati requisiti dal punto di vista dei contributi e dell’età. Proprio soffermandosi su quest’ultima, sembra essere un requisito particolarmente stringente.

Nel corso degli ultimi anni, infatti, si è assistito ad un innalzamento di tale soglia, con la maggior parte dei lavoratori che vedono diventare il traguardo della pensione una vera e proprio chimera.

Eppure, è bene sapere, in determinati casi è possibile andare in pensione all’età di 52 anni. Ecco come funziona e chi ne ha diritto.

Smettere di lavorare e andare in pensione a 52 anni: chi ne ha diritto

A differenza di quanto si possa pensare è possibile uscire dal mondo del lavoro all’età di 52 anni. Almeno in teoria. Stando a quanto previsto dalla normativa vigente, infatti, vi sono alcune misure che permettono di andare in pensione a prescindere dai requisiti anagrafici, a patto di aver maturato un certo numero di contributi. Ne sono un chiaro esempio la pensione anticipata ordinaria e Quota 41 per i lavoratori precoci. Entrando nei dettagli:

  • Pensione anticipata ordinaria. Per beneficiare di tale opportunità bisogna rispettare i requisiti contributivi. Ovvero gli uomini devono aver maturato 42 anni e 10 mesi di contributi. Per le donne, invece, i limiti da rispettare sono pari a 41 anni e 10 mesi.
  • Lavoratori precoci. Anche in questo caso è possibile andare in pensione a qualsiasi età, a patto di aver maturato 41 anni di contributi. Di questi almeno uno deve essere stato versato prima del compimento dell’età di 19 anni. Il soggetto interessato deve essere inoltre in possesso di altri requisiti, ovvero rientrare in una delle seguenti categorie:
    • disoccupato in seguito a licenziamento, dimissioni per giusta causa o risoluzione consensuale;
    • assistere e convivere da almeno sei mesi con il coniuge o un parente non autosufficiente;
    • riduzione della capacità lavorativa superiore o uguale al 74%;
    • persone che svolgono lavori usuranti o gravosi.

Per beneficiare di tali opportunità, quindi, bisognerebbe aver iniziato a lavorare attorno all’età di dieci anni.

Per questo motivo è facile intuire come si tratti, in realtà, più di una possibilità teorica che pratica. A tal proposito è bene ricordare che stando alla legge italiana non vi è un divieto assoluto di far lavorare dei minorenni. Il limite minimo per essere assunti regolarmente è di 16 anni.

Chi ha meno di 16 anni può lavorare con un contratto di apprendistato, ma non può essere formalmente assunto. L’unica eccezione è l’ottenere l’approvazione da parte dell’Ispettorato territoriale del lavoro e il consenso scritto dei genitori per svolgere attività culturali, artistiche, sportive, pubblicitarie o nel settore dello spettacolo.

Contributi volontari e pensione di vecchiaia per i non vedenti

Aver maturato 41 anni di contributi entro l’età di 52 anni, quindi, non sembra essere molto fattibile. Se una persona ha iniziato a lavorare all’età di 16 anni e accumulato circa 36 anni di contributi, ad esempio, può accedere al trattamento pensionistico versando i contributi volontari. Una possibilità, quest’ultima, concreta ma difficile da realizzare. Non tutti, infatti, dispongo della liquidità necessaria per sostenere una spesa di questo tipo.

Per finire vi è un’ultima possibilità per accedere al trattamento pensionistico prima dei 52 anni, ovvero la pensione di vecchiaia per i non vedenti. Quest’ultima viene riconosciuta all’età di 56 anni agli uomini e 51 anni per le donne, a patto di aver maturato dieci anni di contributi nel settore privato. Per i lavoratori autonomi, invece, l’età per beneficiare di tale misura è pari a 61 anni per gli uomini e 56 anni per le donne.