Uno delle domande che ci si pone quando si ha intenzione di costituire un’impresa familiare per l’esercizio di una determinata attività riguarda i gradi di parentale ammessi a tale tipologia di impresa.

La disciplina civilistica dell’impresa familiare è contenuta all’art. 230-bis del codice civile mentre dal punto di vista fiscale la normativa è quella dettata dall’art. 5 comma 4 del TUIR (Testo unico imposte dirette).

I gradi di parentela e affinità nell’impresa familiare: come individuarli?

Secondo quanto disposto dal menzionato art.

230-bis del codice civile, come familiare deve intendersi il coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo. Per impresa familiare, dunque, è intesa quella in cui collaborano il coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo.

Con riferimento al coniuge per tale deve intendersi sia il coniuge di sesso diverso sia quello dello stesso sesso (Legge Cirinnà). Riguardo, invece, il grado di parentela sono considerati parenti entro il terzo grado:

  1. padre e madre; figlio o figlia
  2. nonno o nonna; nipote (figlio del figlio o della figlia); fratello o sorella
  3. bisnonno o bisnonna; pronipote (figlia o figlio del nipote); nipote (figlia o figlio del fratello o della sorella); zio e zia (fratello o sorella del padre o della madre).

In merito al grado di affinità, si considerano affini entro il secondo grado:

  1. suocero o suocera del titolare; figlio o figlia del coniuge;
  2. nonno o nonna del coniuge; nipote (figlio del figlio del coniuge); cognato o cognata.

Ricordiamo che tra i coniugi (marito e moglie) non vi è rapporto di parentela o affinità ma una relazione detta di coniugio che implicitamente ammette la collaborazione familiare nell’impresa.

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