Divisa tra chi ha il sogno di essere autonomo e diventare imprenditore e chi, invece, non riesce a trovare lavoro: questa è l’Italia dei giovani italiani under 30.

Lo rivela Confartigianato durante la convention dei giovani imprenditori della confederazione di artigiani e piccole imprese “2022. Tocca a noi”.

Rispetto al resto Europa e nonostante la crisi economica in atto, l’Italia vanta il maggior numero di imprenditori e lavoratori autonomi under 35 (ben 694 mila, di cui 123.321 imprese artigiane).

A livello regionale, la percentuale più alta di giovani imprenditori si trova al Nord.

Nel podio, nell’ordine, la provincia autonoma di Bolzano (13,3%), Veneto (13,9%), Emilia-Romagna (15,1%). 

Come diventare imprenditore in Italia sotto i 30 anni: intervista e storie di successo

Ma i giovani imprenditori cosa ne pensano di questi dati e come vivono nel quotidiano il loro lavoro?

Per parlare di giovani e lavoro dipendente, a confronto con quello imprenditoriale, abbiamo intervistato Lorenzo Ferrari. Cosa ci ha svelato il fondatore e amministratore delegato di smarTalks, professionista del marketing e della comunicazione, speaker, formatore e consulente di personal branding. 

SmarTalks è una digital marketing enterprise che realizza progetti unici di marketing e comunicazione digitale per brand e aziende.

Raccontaci come sei passato da dipendente a imprenditore

Sono diventato imprenditore pur non nascendo come tale o con il sogno di fare impresa. Volevo dare senso al mio progetto che era cresciuto a tal punto da meritare di avere una forma più consolidata e direi ufficiale.

La mia vita professionale è iniziata nel 2019 da un post su Linkedin. Ho intuito che potesse essere utile ad altre persone e dal quel momento ho continuato a parlare di marketing,  comunicazione e benessere lavorativo. Creavo contenuti ogni giorno dell’anno per mesi e mesi, fino a dare vita al mio personal brand. Questo mi ha portato, nel giro di poco tempo, a essere l’under 25 più seguito di LinkedIn Italia ancora oggi.

Nel 2020 ho dato vita a due progetti social che sono diventati in poco tempo delle community di successo nell’ambito del marketing e della pubblicità. Appena un mese dopo aver conseguito la laurea nel 2021, ho calcato il palco di un TEDx diventando uno degli speaker più giovani d’Italia; nel 2022 ho fondato la mia  prima società partendo da un progetto personale avviato durante gli anni universitari: smarTalks, dopo un periodo di riflessione appena terminati gli studi.

Nello stesso anno, ho iniziato un percorso di docenza realizzando il primo e unico corso di personal branding di Treccani. Parallelamente sto portando avanti la mia attività di speaker e imprenditore.

Per dare una svolta alla mia carriera, è stato altrettanto determinante l’incontro con Sara Turrini, Co-Founder & Business Developer. Colei che mi ha aiutato a portare avanti questo progetto imprenditoriale trasformando SmarTalks in realtà. 

Molti giovani italiani preferiscono lavorare in autonomia oppure si dimettono per diventare imprenditori. Qual è la differenza tra il lavorare da dipendente ed essere imprenditore/autonomo?

In realtà c’è molta differenza tra libero professionista, dipendente e imprenditore. Al di là dell’orgoglio personale essere imprenditore costa molta fatica: è bello se devi dirlo in giro, nel concreto devi sempre essere sul pezzo e pronto a metterti in gioco, a reinventarti, ad accogliere nuove sfide (e direi nuovi problemi) ogni giorno. Devi saper svolgere tanti ruoli in uno ed essere più persone contemporaneamente: un buon capo, un buon manager, un buon leader e un buon dipendente. 

Il mondo imprenditoriale è un mondo difficile, pieno di rivalità e antagonismo che costringe l’imprenditore molto spesso a ritrovarsi solo con sé stesso.

In aggiunta, in Italia ci vuole coraggio perché i finanziamenti a fondo perduto sono di difficile accesso senza avere un valido aiuto esterno: i requisiti dei bandi sono tanti e complessi da comprendere; la burocrazia è a dir poco intricata ed accedere alle graduatorie per ottenere anche solo un finanziamento agevolato sembra quasi una chimera.

  

Sarebbe bello avere un’Italia a misura delle piccole giovani imprese con riforme fiscali e socio-economiche in grado di far crescere i nostri talenti e le nostre competenze, migliorare l’efficienza della PA e, soprattutto, eliminare ostacoli e oneri fiscali e burocratici. Solo investendo sulle nuove generazioni e sulle agevolazioni pensate per noi giovani possiamo garantire un futuro al nostro paese.

Essere un imprenditore è , inoltre, un lusso che pochi si possono permettere. Per avere successo, inteso non come fama o ricchezza immediata ma come un ritorno economico e di soddisfazione rispetto alle energie impiegate,  occorre investire in denaro e soprattutto in termini di tempo. Bisogna dedicare ogni momento della propria giornata e della propria settimana al lancio di un nuovo business: le cose non iniziano a girare senza dargli una spinta considerevole, in particolare,i primi tempi.

Essere liberi professionisti è molto simile: tutto passa per la promozione di sé e dei propri servizi, non si dispone del periodo di malattia pagato dall’INPS né di permessi e le spese sono a tuo carico; anche se poi, si possono scaricare o portare in detrazione in sede di dichiarazione dei redditi, occorre comunque anticiparle. 

Essere dipendente è la scelta migliore a patto che trovi un’azienda che ti valorizzi, che creda nel tuo potenziale, che valorizzi la tua persona e i tuoi talenti e ti consenta di crescere professionalmente nel tempo. 

Penso che optare per una delle tre soluzioni non sia irreversibile: ogni momento della nostra vita è adatto per una di queste possibilità. Penso che dipenda molto, quindi, dalla condizione in cui si trova una persona. 

A mio avviso se sei giovane puoi concederti maggiormente il rischio d’impresa o di aprire una partita IVA rispetto ad una persona con due figli da mantenere e un mutuo da pagare.

Questo non significa che con dei figli non si possa avviare un’impresa o che un ragazzo di 25 anni non possa fare il dipendente.

E’ possibile reinventarsi a qualsiasi età. Tutto dipende sempre dai nostri obiettivi, dalle nostre esigenze materiali e dai nostri valori. Se nel tempo, uno di questi fattori cambia, è probabile che cambierà anche la nostra professione e condizione lavorativa. 

Reinventarsi sempre, ad ogni condizione, invece, penso sia utopia. Non sempre è possibile rischiare senza perdere qualcosa di importante o relazioni importanti. Da giovani è più facile buttarsi e creare qualcosa, diverso è gettarsi a capofitto in un progetto d’impresa e dedicare poco tempo o quasi niente alla propria famiglia. 

Qual è la giornata tipica di un giovane imprenditore?

Voglio andare un po’ controcorrente e sfatare un mito: la vita da imprenditore non è bella perché spesso, si deve sacrificare il proprio tempo e la propria vita privata per far crescere e mantenere attivo il proprio business. 

Non si parla mai della solitudine dell’imprenditore e di come fare impresa rubi tempo-vita spesso prezioso. 

La vera bella vita è avere del tempo per se stessi: per pensare, per organizzare le giornate senza dover aprire le e-mail, controllare fatture e fornitori oppure essere responsabile del proprio  operato perchè dalle tue azioni dipende il benessere lavorativo di altre persone. 

Fare una bella vita è godersi il tempo della vita stessa. Essere imprenditore non ti consente di farlo.

Come trovare l’equilibrio tra la vita lavorativa e quella privata?

Molto. Non solo trovare l’equilibrio ma anche e soprattutto mantenerlo. Puoi trovare un equilibrio quando la tua sicurezza economica è tale da garantirti una pace mentale duratura. Nel caso dell’imprenditore quando non sei più indispensabile perché il tuo business gira senza il tuo contributo; nel caso del dipendente quando trovi un’azienda che non ti vincola ad un orario di lavoro fisso. 

Il problema non sono tanto gli straordinari ma proprio il concetto che sta a monte: avere un orario fisso uguale per tutti, oltre il quale non si può eccedere oppure entro il quale si deve stare. Laddove è possibile, bisognerebbe lavorare per obiettivi e scadenze, rivedendo la cultura del lavoro che attualmente ancora è prevalente in Italia e prevede di scandire il tempo in ore e non in obiettivi da raggiungere.

Quindi il suggerimento alle aziende è di non imporre orari?

Nel momento in cui un professionista porta a termine il proprio lavoro perché dovrebbe rimanere in ufficio oltre l’orario consentito? Viceversa, se una persona desidera protrarre l’orario di lavoro perché vuole finire un un progetto in giornata, perché stigmatizzarlo?

Questo chiaramente non vale per tutte le aziende: quelle della PA, della produzione industriale, della sanità, dell’agricoltura e della GDO difficilmente possono rivedere il carico di lavoro dei dipendenti, strettamente collegato al tipo di mansione che il lavoratore svolge e che deve garantire un servizio orario di un certo tipo oppure rispettare stagionalità specifiche. 

Ma anche le aziende che potrebbero rivoluzionare i tempi di lavoro dei propri dipendenti, spesso non lo fanno. Potrebbero iniziare a interrogarsi sul problema e chiedersi come si può risolvere, ogni giorno, passo passo.

Oltre al tempo di lavoro, quanto è importante lasciare la libertà al dipendente di lavorare da casa, se lo desidera? Reputi lo smart working il lavoro del futuro?

Dipende, come detto prima, dal settore in cui opera l’azienda e dagli obiettivi di business. Posso centrare gli obiettivi anche da casa se il mio lavoro consente di essere svolto in smart working. Allo stesso tempo, il lavoro in ufficio genera maggiore sinergia tra colleghi rispetto a quello svolto da casa.

Penso che, anche in questo caso, una via di mezzo sia accettabile: se andare in ufficio significava controllare i dipendenti e basta,  allora, sono contrario. Se, invece, è richiesto per migliorare il rapporto tra dipendenti oppure se i dipendenti stessi lo desiderano, allora sono favorevole. 

Penso che occorra dare la possibilità di scegliere ai propri dipendenti, indipendentemente da quanto ci è costato affittare o comprare uno spazio da adibire ad ufficio. Molti datori impongono la presenza anche per questa ragione.

Anche in questo caso si apre una parentesi enorme: non ha senso obbligare le persone a recarsi in sede per lavorare con il recente rincaro dei prezzi solo per rientrare di un investimento. Non è eco-sostenibile, non è comodo e non è funzionale. 

Dato che lavorare in ufficio ha un costo non indifferente, meglio optare per una via di mezzo come il coworking, uno spazio condiviso con altri professionisti, magari anche di altre aziende.  

Si creano le stesse relazioni sinergiche che si creerebbero in un ufficio tradizionale, ma a costi ridotti sia per gli imprenditori sia per i dipendenti non più costretti a percorrere km dalla loro abitazione all’ufficio.

Infine che consigli ti senti di dare a chi deve aprire un nuovo business nel 2023?

Il primo consiglio che mi sento di dare è arrivare preparati psicologicamente e finanziariamente. E’ necessario mettersi in testa che bisognerà per forza fare dei sacrifici per raggiungere il proprio obiettivo. 

Gli effetti collaterali dell’essere imprenditore saranno, soprattutto a livello sociale, solitudine e rapporti incrinati se non si arriva con le idee chiare in testa, con una progettualità ben precisa e una pianificazione giornaliera, settimanale, mensile e, infine annuale delle proprie attività. 

Senza avere idea di come si gestiscono tempo, risorse, amicizie, famiglia e denaro si rischia di andare in burnout e di abbandonare i propri sogni. 

Perciò ai miei coetanei, a tutti i giovani e gli aspiranti imprenditori dico: informatevi bene prima di buttarvi in qualsiasi attività in autonomia. 

Quali materie e cosa studiare per diventare imprenditori?

Studiate tutto ciò che occorre sapere per avere una buona educazione finanziaria. Soppesate bene quale budget avete a disposizione, i rischi e le opportunità del mercato in cui volete inserirvi, quali sono le competenze che avete acquisito e che possano fare la differenza e, anche, la vostra personalità (le cosiddette soft e hard skills). 

Conoscervi con un auto analisi vi farà capire se siete pronti a compiere il passo o meno. Per chi vuole avviare un business mettersi in discussione significa anche saper riconoscere i propri limiti e non smettere mai di imparare. Consiglio inoltre di non sentirsi mai arrivati e trovare persone che possano aiutarti a trasformare il tuo sogno in realtà.

Anche acquisire esperienza come dipendente, in primo momento e poi, dopo qualche anno, avviare la propria attività potrebbe essere d’aiuto. Crescere professionalmente darà una marcia in più alla vostra sicurezza e al vostro business. 

Imparare sul campo, magari osservando altri imprenditori, apprendendo il più possibile è sempre una carta vincente e una cartina tornasole. 

L’ideale, quindi, sarebbe non avere fretta e maturare più competenze. Magari in una grande azienda, dove ci si può confrontare con persone preparate, in grado di far capire come avviare e far crescere la propria impresa. 

Infine, l’autopromozione è indispensabile. LinkedIn è un social fondamentale. Conviene usarlo in modo produttivo, per creare contenuti di valore e generare engagement e attraction verso la vostra persona e, poi, il vostro business.