La previdenza integrativa inciampa sulla crisi economica e il rendimento dei fondi pensione va a picco. E’ quanto è successo nei primi nove mesi dell’anno dopo lo scoppio della guerra in Ucraina e l’esplosione dell’inflazione.

Al punto che un Paese più avanzato sulla previdenza complementare, come la Gran Bretagna, ha visto crollare l’industria dei fondi pensione per crisi di liquidità. E non va meglio in altri Paesi anglosassoni che da sempre puntano molto sui fondi pensione per le loro politiche sociali.

Previdenza integrativa, nove mesi da dimenticare

E in Italia? Da gennaio a settembre, oltre 300 fondi aperti, hanno perso mediamente l’11,2% del proprio valore (dati Fida) a causa del crollo delle borse. Un tonfo che equivale a 8 anni di crescita graduale. In altre parole, chi ha investito soldi nei fondi 8 anni fa oggi si ritrova la stessa somma versata al lordo delle imposte e costi di gestione. Sempre che le cose non peggiorino col tempo.

E che dire dei rendimenti? In pratica i rendimenti futuri dei fondi pensione saranno strettamente correlati alla crescita (o diminuzione) del patrimonio accumulato dal lavoratore. E se questo diminuisce, anziché crescere, ne andrà anche della pensione integrativa e resterà penalizzato.

Posto anche che sulle rendite dei fondi pensione gravano imposte e costi di gestione non proprio trasparenti come si può immaginare. Solo chi ha iniziato a sottoscrivere fondi negoziali per assicurarsi una pensione integrativa da molto tempo può ambire ad ottenere qualcosa di concretamente valido.

I gestori, infatti, sostengono da sempre che il rendimento delle pensioni integrative si apprezza solo dopo molti anni. Quindi solo un piano di accumulo dal 30-35 anni può ammortizzare nel tempo le oscillazioni dei mercati. In ogni caso, non è detto che questo, alla fine, sia più vantaggioso rispetto al Tfr.

Tfr battono fondi pensione

Così oggi si scopre che i Tfr sono tornati a battere i fondi pensione.

In tempi di vacche magre, del resto, questo tipo di investimento “garantito” rappresenta un porto sicuro. Anzi rende anche di più. Secondo gli ultimi i dati ufficiali, la rivalutazione del trattamento di fine rapporto che resta in azienda è cresciuta parecchio essendo legata all’inflazione.

Per legge, ricordiamo, il Tfr in azienda si apprezza ogni anno del 1,5% fisso, più uno scarto del 75% dell’indice di inflazione Istat. Da inizio 2022 l’impennata dell’inflazione ha fatto così lievitare la rivalutazione del Tfr mettendo a segno un rialzo stimato del 5,2% per i primi nove mesi dell’anno. Percentuale al netto delle imposte che sono al 17%, contro il 20% dei fondi pensione.

In questo momento, quindi, meglio tenersi stretto il Tfr ed evitare i fondi pensione. Ma alla lunga, considerato il trend negativo delle pensioni pubbliche, la previdenza integrativa privata assumerà un ruolo sempre maggiore anche in Italia. Come affermato dall’ultimo Global Pension Index 2022 di Mercer e Cfa. Coi rischi del caso, naturalmente.