I fondi pensione non hanno certo brillato in termini di guadagni negli ultimi anni. Fra Covid, guerra russo-ucraina e tensioni sui prezzi delle materie prime energetiche, tutti i comparti dediti alla previdenza complementare ne hanno risentito profondamente. Ma a far precipitare i rendimenti è stato soprattutto il ritorno violento dell’inflazione.

Nel 2022 i rendimenti dei fondi sono precipitati mediamente del 10% con punte del 12,50%, Un disastro su tutte le linee che ha fatto venir meno la fiducia dei lavoratori nella previdenza integrativa.

Cioè quel risparmio che dovrà servire per integrare la pensione pubblica una volta terminata la carriera lavorativa.

I rendimenti dei fondi pensione negli ultimi anni

In un anno se ne sono andati guadagni realizzati in un arco temporale che va dai 5 agli 8 anni. E ci vorrà altrettanto tempo per recuperare le perdite. Con la differenza che chi ha iniziato a destinare il Tfr nel 2012 o prima è riuscito a compensare il crollo. Mentre chi ha iniziato a versare in periodi più recenti ha perso soldi. Al contrario il Tfr nel 2022 ha reso l’8,3% regalando soddisfazioni a chi non è cascato nella trappola dei fondi pensione.

Più nel dettaglio, come riporta la Covip, i rendimenti dei fondi pensione negli ultimi 10 anni, a causa del tonfo del 2022, si sono compressi. I garantiti hanno reso poco o nulla (+0,7%), gli obbligazionari puri nulla, gli obbligazionari misti il 2,4%, quelli bilanciati il 2,7%. Solo i fondi negoziali azionari hanno guadagnato, fra alti e bassi, il 4,7%. A confronto il Tfr ha reso il 2,3% dal 2013 a oggi.

Come dicono i gestori, i rendimenti si possono apprezzare solo nel lungo periodo, quindi con un orizzonte temporale di almeno 20 anni. La media, sempre in base ai dati Covip, è stata però del 2,7% con punte apprezzabili solo per il comparto azionario, il più rischioso. Ma è fondamentale il timing, cioè il momento in cui si decide di entrare in una linea di previdenza complementare.

Il confronto dei fondi pensione con il Tfr

Il Tfr, che solitamente si mette a confronto, ha reso più o meno uguale per quanto concerne le linee di investimento obbligazionario. Il rendimento del trattamento di fine rapporto presso il datore di lavoro, infatti, segue da vicino l’andamento dei tassi d’interesse legati all’inflazione.

Più nel dettaglio, le quote di Tfr di ogni singolo lavoratore crescono come se il denaro fosse depositato su un libretto postale. Per sapere la rivalutazione in un determinato periodo si calcola il 75% della variazione dell’indice Istat FOI rispetto al mese di dicembre dell’anno precedente e si somma il risultato a un tasso fisso stabilito per legge nella misura dell’1,5%. Si ottiene così il “tasso di rivalutazione annuale del TFR“.

Nel lungo periodo, nell’arco di 10 anni, si può dire che il Tfr abbia battuto nettamente i rendimenti offerti dai fondi pensione garantiti, mentre si è allineato a quelli dei fondi obbligazionari misti e bilanciati. Ha perso solo nei confronti di quelli azionari, i cui rendimenti non sono certo ripetibili e garantiti nel tempo.

La lotta all’inflazione

Di fondo c’è da dire che il Tfr si è rivelato il miglior strumento finanziario per la lotta contro l’inflazione. Lo shock del 2022 ha infatti messo al riparo tutti coloro che non avevano sottoscritto fondi pensione. Ma anche nel lungo periodo, il rendimento è sempre stato positivo, contro quello offerto dai fondi pensione. In cinque anni ha reso il 3,3%, in dieci anni il 2,4%, in 20 anni il 2,5%.

Riassumendo…

  • I fondi pensione hanno perso nel breve periodo, mentre il Tfr ha guadagnato.
  • In dieci anni, solo i comparti azionai dei fondi pensione hanno battuto il Tfr.
  • I rendimenti delle linee garantite e obbligazionarie sono stati nulli.