La pensione complementare non è per tutti. L’atteggiamento dei lavoratori, in base alla loro età e alla percezione del futuro, cambia molto. E’ anche una questione di conoscenza della materia previdenziale. I giovani poco sanno di pensioni e guardano principalmente alle immediate disponibilità economiche dello stipendio. I lavoratori, più anziani, invece, percepiscono le difficoltà della vecchiaia e quindi sono più propensi a stipulare forme supplementari di assicurazione.

E’ tutta una questione di punti di vista. Come il fatto che la pensione integrativa, a dire il vero, è tutta un’invenzione del nuovo secolo per far affluire quattrini in banche e assicurazioni (prima non esistevano).

Con la scusa che la pensione pubblica non sarà più sufficiente per vivere, si privano i lavoratori di parte delle disponibilità economiche del Tfr con la promessa di un futuro migliore.

Perché i giovani lavoratori stanno alla larga dai fondi pensione

Ciò premesso, analizziamo attentamente il perché della disaffezione dei giovani verso i fondi pensione. Innanzitutto, non è vero che i giovani sono ignoranti in materia. A ben guardare, sono mediamente più acculturati e informati dei loro genitori. Conoscono bene i fondi pensione, ma li reputano poco efficienti e rischiosi. Viceversa, il Tfr è visto come una forma di garanzia, un tesoretto da utilizzare al momento del bisogno o quando termina un contratto di lavoro.

Non solo. I recenti crolli dei mercati finanziari che, con il ritorno dell’inflazione, hanno portato al crollo dei rendimenti dei fondi pensione non sono passati inosservati. Lo scorso anno l’industria dei fondi si è mangiata mediamente il 10% di rendimento, con punte di oltre il 12% per le linee azionarie. Contro un rialzo del rendimento offerto dal Tfr, preso come metro di paragone, dell’8%. Una differenza che non sarà colmata in tempi brevi e che nel frattempo graverà sui riscatti e le rendite di chi andrà in pensione nei prossimi anni.

I vantaggi fiscali offerti dallo Stato sono briciole a fronte della perdita di capitale accusata nel 2022 dopo il crac dei fondi pensione in Gran Bretagna che ha avuto ripercussioni anche in Italia. Il che conferma la non convenienza ad assumersi dei rischi quando l’investimento ha lo scopo di costituire una pensione integrativa per la vecchiaia.

Pochi iscritti alla previdenza complementare

I giovani restano quindi lontani dalla previdenza complementare e preferendo lasciare i soldi nel Tfr. Come anche dimostrato dai dati elaborati dall’Autorità di Vigilanza alla fine del 2021. Su 8,8 milioni di iscritti ai fondi pensione, solo il 17,8% ha meno di 35 anni. Mentre la maggior parte dei lavoratori (il 50,3%) appartiene alla fascia di età centrale compresa fra i 35 e 54 anni. Il 31,9% ha almeno 55 anni.

Non solo. Dal 2017 al 2021 le adesioni ai fondi pensione fra i giovani lavoratori fino a 35 anni di età hanno registrato una crescita minima (+0,4%). Mentre si assistite a un progressivo incremento delle adesioni dei lavoratori appartenenti alle classi di età centrali (+6%).

C’è anche da dire che le fasce di età più giovani partecipano in misura minore al mercato del lavoro (la disoccupazione giovanile è al 23%). Pertanto non percepiscono le stesse preoccupazioni dei lavoratori più anziani verso il futuro. Per questi ultimi il declino dell’importo delle pensioni è più percettibile. Quindi, rendersi conto che le loro pensioni saranno più basse di quelle dei loro predecessori è diverso che non saperlo affatto. Da qui la maggiore preoccupazione e l’esigenza di ricorrere a misure di integrazione.

Riassumendo…

  • I giovani partecipano meno alla previdenza integrativa dei lavoratori più anziani.
  • Per i giovani lavoratori ci sono meno preoccupazioni verso il futuro.
  • I rendimenti dei fondi pensione non sono affatto sicuri: nel 2022 il Tfr ha fatto decisamente meglio.
  • La scarsa adesione dei giovani ai fondi pensione dipende anche dalla precarietà del lavoro.