Forte battuta d’arresto per i fondi pensione. Da gennaio a settembre 2022 i rendimenti sono scesi. E non di poco. Complice l’esplosione dell’inflazione, i fondi negoziali hanno perso addirittura più del 12%.

E non va male solo in Italia. In Gran Bretagna, Paese più avanzato sulla previdenza complementare, l’industria dei fondi pensione è stata salvata dal governo per crisi di liquidità. Tutto messo a tacere in pochi giorni per non suscitare allarmismi, ma il problema è grave.

Fondi pensione: nove mesi in picchiata

Da gennaio a settembre – secondo i dati della Commissione vigilanza sui fondi pensione, Covip – le posizioni in essere presso le forme pensionistiche complementari sono 10,1 milioni, in crescita di 410.000 unità (+4,2 per cento) rispetto alla fine del 2021.

Ma a fronte di un incremento dei lavoratori iscritti, i rendimenti sono risultati negativi. I fondi pensione hanno perso il 10,6% e il 12,2% rispettivamente, per quelli negoziali e quelli aperti. Mentre per i piani individuali pensionistici di ramo III le perdite sono state pari a -12,4%.

Non sono certo numeri da sottovalutare se si pensa che la perdita, a causa del tonfo delle borse, è stata di 10,9 miliardi di euro (5,1% del totale del patrimonio). Percentuali che non tengono conto della fiscalità e dei costi di gestione dei fondi.

Va notato, inoltre, che in 9 mesi sono stati bruciati capitali che sono stati raccolti negli ultimi 6 anni di attività. Ne deriva che chi ha investito il Tfr nei fondi pensione partendo dal 2016 non ha guadagnato nulla. Chi lo ha fatto dal 2017 in poi, invece, ci sta rimettendo.

Rendimenti a rischio

E che dire dei rendimenti? In pratica i rendimenti futuri dei fondi pensione saranno strettamente correlati con la crescita (o diminuzione) del patrimonio accumulato dal lavoratore. E per chi ha iniziato a versare nei fondi da poco, oggi si ritrova una penalizzazione.

Posto anche che sulle rendite dei fondi pensione gravano imposte e costi di gestione non proprio trasparenti come si può immaginare.

Solo chi ha iniziato a sottoscrivere fondi negoziali per garantirsi una pensione integrativa da molto tempo può ambire a ottenere qualcosa di concretamente valido.

I gestori, infatti, sostengono da sempre che il rendimento delle pensioni integrative si apprezza solo dopo molti anni. Quindi solo un piano di accumulo da 30 -35 anni può ammortizzare nel tempo le oscillazioni dei mercati. In ogni caso, non è detto che questo, alla fine, sia più vantaggioso rispetto al Tfr.

Aumentano gli iscritti ai fondi pensione

Come in tutte le forme di investimento, anche i fondi pensione sono in grado di limitare le perdite solo se incrementano le adesioni. Cioè se tirano su più soldi. In questo senso la campagna mediatica svolge un ruolo determinate. Così, sempre secondo i dati Covip – nei primi nove mesi del 2022 i fondi negoziali registrano un incremento di 278.000 posizioni (+8%), per un totale a fine settembre di 3,735 milioni.

Alla crescita delle posizioni hanno contribuito, oltreché i fondi per i quali già da tempo sono state attivate le adesioni contrattuali, anche il fondo rivolto al pubblico impiego. Per il quale è stata attivata l’adesione attraverso il cosiddetto silenzio-assenso per tutti i lavoratori neo assunti a partire da una determinata data.

Nelle forme pensionistiche di mercato, si rilevano 71.000 posizioni in più nei fondi aperti (+4,1%) per 1,806 milioni di posizioni nel complesso e 38.000 posizioni in più nei Piani individuali pensionistici nuovi (+1,1%) per 3,652 milioni di unità totali.

Tfr battono fondi pensione

E il Tfr, invece, come va? Incredibilmente si scopre che i soldi lasciati in azienda sono rimasti al sicuro, non hanno perso nulla. Anzi sono tornati a battere i fondi pensione. In tempi di vacche magre, del resto, il Tfr rappresenta un porto sicuro. Anzi, rende anche di più.

Secondo gli ultimi i dati ufficiali, la rivalutazione del trattamento di fine rapporto che resta in azienda è cresciuta di molto essendo legata all’inflazione.

Per legge, il Tfr in azienda si apprezza ogni anno del 1,5% fisso, più uno scarto del 75% dell’indice di inflazione Istat. Da inizio 2022 l’impennata dell’inflazione ha fatto così lievitare la rivalutazione del Tfr mettendo a segno un rialzo stimato del 5,2% nei primi nove mesi dell’anno. Percentuale al netto delle imposte che sono al 17%, contro il 20% dei fondi pensione.

In questo momento, quindi, meglio tenersi stretto il Tfr ed evitare i fondi pensione. Ma alla lunga, considerato il trend negativo delle pensioni pubbliche, la previdenza integrativa privata assumerà un ruolo sempre maggiore anche in Italia. Come affermato dall’ultimo Global Pension Index 2022 di Mercer e Cfa.