L’età della pensione ordinaria è uguale per tutti indistintamente. La legge, tuttavia, prevede delle eccezioni e delle deroghe che riguardano particolari situazioni o caratteristiche del lavoro svolto. Come quello usurante o notturno che prevede l’uscita prima dei 67 anni di età. Così come per le donne con figli che possono beneficiare di uno sconto di 4 mesi per ogni figlio fino a un massimo di 12 mesi e quindi andare in pensione anche a 66 anni.

A parte ciò, esistono anche differenze in base al settore lavorativo ricoperto.

Ci riferiamo in particolare al pubblico impiego dove i dipendenti sono soggetti a regole diverse rispetto al settore autonomo o privato. Nella pubblica amministrazione il limite ordinamentale per la permanenza in servizio è fissato a 65 anni di età. Con le dovute eccezioni, come per il comparto militare o della sanità.

Età pensionabile nel pubblico impiego

I dipendenti pubblici, quindi, vanno in pensione a 65 anni di età. Allo stato attuale, dopo l’approvazione del decreto legge sul pubblico impiego (Dl 101/2013) e del decreto legge sulla Pubblica Amministrazione (Dl 90/2014), la P.A. deve collocare a riposo il personale che compie i 65 anni di età. Un pensionamento forzato, d’ufficio, se così si può dire, che non consente il proseguimento del rapporto di lavoro, a differenza che nel settore privato.

Unica eccezione è rappresentata dal requisito contributivo insufficiente. Qualora il dipendente pubblico non abbia abbastanza contributi per accedere alla pensione, gli è consentito di proseguire il sevizio per raggiungere la soglia minima richiesta. Più specificatamente è prevista la possibilità di proseguire il servizio fino a 71 anni di età. Ma solo se tale prolungamento consente al lavoratore di perfezionare il requisito contributivo utile per la pensione di vecchiaia, cioè 20 anni di contributi.

Fa eccezione il comparto Difesa e Sicurezza. Carabinieri, Poliziotti, Finanzieri e Vigili del Fuoco seguono altre regole. Per costoro il limite ordinamentale è fissato a 60 anni di età e non possono proseguire il servizio.

Soglia anagrafica che si alza fino a 65 anni in base al grado ricoperto all’interno dell’amministrazione, quindi più alta per gli ufficiali rispetto ai sottufficiali.

La pensione di vecchiaia nel settore privato

A differenza del pubblico impiego, il lavoratore appartenente al settore privato o autonomo non deve sottostare alla soglia anagrafica di cui sopra. E’ libero di proseguire il rapporto di lavoro, sempre che il datore sia d’accordo o, in caso di libero professionista, qualora non intenda accedere alla pensione di vecchiaia.

Ricordiamo che i requisiti sono per tutti almeno di 20 anni di contributi e 67 anni di età. La soglia anagrafica non è però statica, ma agganciata alla speranza di vita e potrebbe salire nei prossimi anni, così come previsto dalla normativa che ne ha cambiato i termini di uscita. Anche per i lavoratori del settore privato, la pensione può essere ottenuta oltre i 67 anni di età qualora uno non raggiungesse i 20 anni di contribuzione.

Per quanto riguarda il metodo di calcolo dell’assegno, le regole sono uguali per tutti. Retributivo e contributivo (misto) per chi ha iniziato a lavorare prima del 1996, contributivo puro per tutti gli altri. Non sono previste eccezioni, se non per coloro che appartengono al settore Difesa e Sicurezza che, in virtù del particolare mestiere svolto e considerata l’uscita obbligatoria già a 60 anni, interviene il fondo di perequazione che integra la pensione calcolandola come se fosse ottenuta a 67 anni di età.

Riassumendo…

  • Le regole per andare in pensione ordinaria sono diverse per lavoratori privati e pubblici.
  • Nella pubblica amministrazione il limite di età è pari a 65 anni con almeno 20 di contributi.
  • Nel settore privato il limite di età è 67 anni con 20 anni di contributi.