Non c’è dubbio che la pandemia avrà delle ricadute importanti anche sulle pensioni. Più in Italia che altrove, dove la spesa previdenziale pubblica è fra le più alte al mondo.

Secondo le prime indicazioni fornite dall’Ocse nel suo rapporto “Pensions at a glance 2021”, l’impatto del covid sulle pensioni è stato importante. A causa dell’innalzamento della mortalità fra le fasce più anziane della popolazione, la spesa si è ridotta dello 0,8%.

Gli effetti della pandemia sulle pensioni

Si tratta di un dato che mette in evidenza come e quanto lo Stato sia intervenuto a livello sanitario per contenere il più possibile l’ondata pandemica.

A differenza, ad esempio, di quanto è avvenuto nei Paesi in via di sviluppo, dove la mortalità è stata molto più elevata.

Tradotto in altri termini – secondo l’Ocse – lo Stato ha difeso più le pensioni che il lavoro aumentando quindi, in proiezione, la spesa pensionistica futura. In previsione, quindi, anche per effetto dell’allungamento della speranza di vita, in Europa l’età media per le pensioni aumenterà di circa 2 anni entro il 2030.

Per converso, la pandemia ha picchiato duro sul mondo del lavoro, già costellato di precarietà e contratti a termine. Fatto che, unito, al terribile calo demografico e al sempre più basso indice di natalità porta a una pericolosa divergenza economica che rischia di far saltare le pensioni.

In questo senso, urge mettere un freno alla spesa previdenziale onde evitare il collasso. L’Ocse non lo dice apertamente, ma prevede una pericolosa incertezza basata sul fatto che i giovani dovranno lavorare più a lungo per mantenere le pensioni dei predecessori. Ricevendo in cambio, a loro volta, pensioni da fame.

Divergenze sociali e rischio default

C’è poi il problema degli assegni. Quando entrerà a pieno regime nel 2035 il sistema di calcolo contributivo delle pensioni, saranno dolori. Il tasso di sostituzione è previsto intorno al 50-55% dello stipendio.

Nella migliore delle ipotesi, cioè con una carriera piena e continuativa alle spalle.

Nel sistema retributivo puro, si andava in pensione con assegni quasi uguali agli stipendi. In alcuni casi anche di più. Cioè si prendeva più di pensione che di retribuzione. Oggi, col sistema misto, il tasso di sostituzione è di oltre il 75%. Il che significa che un pensionato guadagna quasi come un lavoratore medio all’inizio della carriera.

Ma cosa potranno aspettarsi i giovani lavoratori quando sarà il loro turno? A quanto ammonterà la loro pensione? Il rischio di scivolare verso fasce di povertà è molto elevato.

Il combinato di questi fattori è pericolosissimo. L’Ocse avverte infatti che l’invecchiamento della popolazione e i possibili effetti a lungo termine della pandemia potrebbero colpire molto duramente le pensioni dei giovani. In primis, ritardandole ulteriormente.