Andare in pensione in Italia è diventato sempre più difficile. Tutto è partito dalle ultime riforme delle pensioni. Prima con il sistema contributivo della riforma Dini, poi con la riforma Fornero. In Francia andare in pensione diventerà più difficile adesso, con la riforma Macron. L’età pensionabile che sale è alla base delle proteste dei transalpini, che da settimane scendono in piazza. In Italia l’età pensionabile che è salita esponenzialmente dal 2011 ad oggi, è al centro delle polemiche da anni. Ma siamo sicuri che sia l’età pensionabile il male supremo delle pensioni?

Sulle pensioni problemi ovunque e non solo quelli dell’età pensionabile

Secondo attente analisi e secondo il parere di molti addetti ai lavori e non solo, come dimostrano alcuni nostri lettori, non è l’età pensionabile a finire sul banco degli imputati.

O almeno non solo l’età pensionabile. Perché dietro i problemi del sistema c’è dell’altro. Ed anche in Francia il ragionamento è lo stesso.

“Buonasera, sono una lavoratrice di Supermercato da 15 anni. Ho circa 60 anni di età, e tra gravidanze, lavori saltuari, part time e discontinuità, ho a mala pena 28 anni di contributi. Pochi per andare in pensione. Dovrò aspettare i 67 anni. Ma non mi disturba questo aspetto. Ciò che contesto è il fatto che le pensioni per gli uomini sono più facili. Perché hanno più facilità a lavorare di continuo e a raggiungere i contributi necessari per le anticipate o per le varie misure che ogni anno il Governo produce.”

“Salve a tutti, sono un lavoratore stagionale del settore turistico. Lamento il fatto che lo Stato italiano non è giusto nel dare le pensioni ai lavoratori. Io avrei voluto lavorare tutto l’anno, ma sono un animatore turistico e da sempre lavoro quando il turismo funziona. Non è una mia scelta. Io avrei voluto lavorare tutto l’anno. Ma se i villaggi sono aperti solo d’estate e durante le stagioni invernali, io come faccio a raggiungere gli oltre 40 anni per arrivare alle pensioni senza dover aspettare i 67 anni? vi immaginate un animatore turistico a 67 anni a far ballare i ragazzi? Nemmeno le varie quota 100, 102 e 103 aiutano.

Se si fissa il tetto a 38 anni, le discriminazioni per chi fa lavori come il mio o simili, sono evidenti.”

La riforma francese e quella della Fornero, le differenze sono evidenti

Ciò che stra accadendo in Francia interessa il giusto agli italiani. Infatti le lamentele per la riforma delle pensioni che vuole Macron e che inasprisce l’età pensionabile, gli italiani sono anni che la vivono. Sono dai tempi della riforma Fornero che le pensioni per gli italiani si sono allontanate negli anni. In Francia lamentano il fatto che a partire dal 2023 e per 3 mesi all’anno fino al 2030, l’età pensionabile salirà da 62 a 64 anni. E che per prendere una pensione neutra da tagli (in Francia la chiamano pensione completa, serviranno 43 anni e non i 42 di oggi). In Italia con l’avvento della riforma del governo Monti, le pensioni di vecchiaia passarono da 65 anni per gli uomini, 61 per le lavoratrici statali e 60 per le altre, ai 67 anni per tutti odierni. Fermo è restato solo il requisito contributivo dei 20 anni minimi di versamenti. Le anticipate invece sono arrivare oggi a 42,10 anni di contributi per gli uomini e 41,10 per le donne e senza limiti di età. Prima però bastavano 40 anni di carriera per tutti, oppure 35 se gli interessati avevano 60 anni di età e quota 96 completata. Evidente che forse, agli italiani è andata peggio negli anni.

Cosa c’è alla base delle proteste sulle pensioni in Francia

Ma ciò che si contesta sia in Francia (più platealmente visto le manifestazioni di piazza) che in Italia, va oltre l’aumento dell’età pensionabile.

Si contestano le discriminazioni tra categorie. Ed anche qui vedremo che in Italia la situazione può sembrare anche peggiore dei cugini d’Oltralpe. In Francia, come si legge sul sito “morningstar.ii” che fa riferimento a pubblicazioni di Alberto Brambilla, Presidente del Centro Studi Itinerari Previdenziali e di Michaela Camilleri, la riforma fa storcere il naso a quanti avevano evidenti vantaggi in termini di uscita dal lavoro. E si fa riferimento a lavoratori della Banca di Francia per esempio, o dell’Opera di Parigi o della aziende di trasporto pubblico. Lavoratori che godono di regimi speciali già dai 52 anni. Secondo ciò che si apprende, dalla Francia si vuole mettere un freno a questi privilegi. Una cosa che in Italia da tempo si attua, anche se le discriminazioni non sono certo finite.

Pensioni più eque, ma siamo sicuri?

Secondo il Centro Studi, il sistema contributivo in Italia ha prodotto una limitazione alle discriminazioni tra categorie. In Francia invece, il calcolo delle pensioni è ancora collegato agli stipendi dei lavoratori nei migliori 25 anni di carriera. Da questo punto di vista in Francia nessun ritocco dalla discussa riforma. A conti fatti quindi, in Francia sembra abbiano meno motivi per lamentarsi rispetto all’Italia. L’obbiettivo della riforma francese, come di quella della Fornero è rendere sostenibile il sistema. Ma in Italia l’inasprimento dell’età anagrafica ha prodotto un incremento delle discriminazioni. Se il contributivo ha risolto il problema dei privilegi di calcolo delle pensioni, la riforma Fornero ha prodotto evidenti discriminazioni. Questo è ciò che sosteniamo noi di Investire Oggi. Perché i nostri due lettori dei due quesiti sopra riportati, dimostrano come alcune categorie siano rimaste indietro, abbandonate dalla politica in materia pensionistica. I discontinui, stagionali e non per esempio. O le donne, spesso costrette a scegliere tra carriera e lavoro. O ancora, i lavoratori part time, coloro che non hanno lavori duraturi per tutto l’anno. Va considerato il fatto che per evitare la pensione a 67 anni, servono carriere lunghe, nell’ordine di 36, 38, 41 o 43 anni di carriera.

Le discriminazioni evidenti del sistema pensionistico italiano peggio che in Francia

La pensione anticipata ordinaria a 42,10 per gli uomini calza poco a stagionali, discontinui e così via dicendo. E calza poco alle donne, nonostante servano 41,10 anni di versamenti e non 42,10. Ma anche i 41 anni della quota 103 o della quota 41 precoci sono troppi. Evidente che anche se si varasse una quota 41 per tutti, i penalizzati resterebbero sempre gli stessi. Come lo sono stati dalla vecchia quota 100, che a 62 anni di età pretendeva almeno 38 anni di contribuzione versata. Una misura che già allora fu accusata di essere tagliata alla perfezione per lavoratori pubblici e soprattutto per gli uomini. Un trend discriminatorio proseguito con la quota 102 (64 anni di età e 38 di contributi) nel 2022 e dalla quota 103 odierna (62 anni di età e 41 di contributi). Senza contare che tornando alle parole degli esponenti del Centro Studi Itinerari Previdenziali, gli inasprimenti tra le lacrime, presentati dal Ministro del lavoro e delle Politiche Sociali del 2011, cioè da Elsa Fornero, forse non hanno prodotto quel guadagno in termini di sostenibilità tanto auspicati. Perché per detonare i problemi lasciati dalla riforma (a partire dagli esodati e dalle 8 salvaguardie), lo Stato ha dovuto produrre interventi tampone spendendo molti soldi. Oltre alle salvaguardie esodati, anche le varie quota 100, 102 e 103, per esempio, sono misure tampone, costose per le casse dello Stato, nate per detonare in parte gli effetti della riforma Fornero.