Il sistema pensionistico italiano oggi divide i lavoratori che si accingono ad andare in pensione in due grandi categorie. Una divisione che ha nella data di avvio dei versamenti contributivi, la linea di demarcazione. Infatti tutto parte dal 1996. Ci sono contribuenti che hanno iniziato a versare prima del 1996 e altri che hanno iniziato a versare dopo. E cambia molto in base a questa data, perché variano gli importi delle pensioni ma anche i requisiti di accesso alle misure pensionistiche vigenti.

“Buonasera, sono un lavoratore autonomo che ha iniziato a versare i contributi nel 2000, dopo anni passati a lavorare nel negozio di famiglia senza ingaggio. Ho 63 anni e vorrei capire come funziona la pensione a 64 anni per il sottoscritto. Mi sa che bastano 20 anni di contributi, giusto?”

Lavoratori e pensioni, ecco le due diverse platee del sistema odierno

Chi come il nostro lettore ha iniziato a lavorare dopo il 1996 (ufficialmente e quindi a versare contributi), per il sistema previdenziale è conosciuto come contributivo puro. Il lettore di fatto non ha contributi versati prima della riforma Dini e quindi non ha periodi di lavoro retributivi. Le pensioni prima del 1996 si basavano sul metodo retributivo, cioè erano calcolate in base agli ultimi anni di retribuzione. Dopo invece ha iniziato ad avere rilevanza il montante contributivo.

Infatti le pensioni vengono calcolate in base all’ammontare dei contributi versati, rivalutati anno dopo anno fino alla data di uscita dal mondo del lavoro. E passati per dei coefficienti che vengono definiti di trasformazione proprio perché servono per trasformare i contributi in assegno previdenziale. Ma oltre che come regole di calcolo dei ratei di pensione, il nuovo sistema contributivo determina differenze anche sulle misure pensionistiche fruibili. In alcuni casi, differenze a vantaggio dei contributivi puri. In altri casi differenze a svantaggio di chi non ha contributi versati in epoca retributiva.

Il sistema retributivo, quello contributivo e quello misto

Oggi a dire il vero, la stragrande maggioranza dei lavoratori che si apprestano a completare i requisiti per andare in pensione, hanno nel sistema misto quello di riferimento. Infatti chi ha contributi versati prima e dopo il 1996, rientra nel cosiddetto sistema misto. I periodi di lavoro prima del 1996 vengono conteggiati per il calcolo della pensione, in base alle ultime retribuzioni ricevute o dei redditi prodotti nel caso di lavoratori autonomi. I periodi di lavoro successivi al 1996 invece vengono calcolati in base all’ammontare dei contributi.

Retribuzioni restano fondamentali anche per le pensioni contributive

Anche in questo caso importante sono redditi e stipendio, perché ogni mese per esempio, il lavoratore dipendente versa il 33% della retribuzione al montante contributivo. Più alto lo stipendio maggiori sono i contributi che si versano. Ma il calcolo retributivo resta più vantaggioso. In deroga alla regola ordinaria per il sistema misto, la riforma Fornero stabilì che chi aveva maturato al 31 dicembre 1995 almeno 18 anni di contributi versati, poteva godere del maggiore vantaggio del calcolo retributivo per tutti i periodi fino al 31 dicembre 2011. Il nostro lettore però non rientra in alcun modo nel sistema misto. Essendo contributivo puro non ha altre regole di calcolo della pensione che non siano quelle contributive.

La pensione per i contributivi puri, i vantaggi

La misura a cui fa riferimento il nostro lettore nel quesito di sopra è la pensione anticipata contributiva. Potrà accedere a questa misura il nostro lettore nel momento in cui compie 64 anni di età. Infatti avendo iniziato a versare contributi nel 2000, ha già raggiunto la soglia contributiva minima utile alla pensione anticipata contributiva. Infatti la misura, come si legge sul sito dell’INPS, per i soli lavoratori che hanno iniziato a versare la contribuzione dal 1° gennaio 1996, la pensione anticipata si raggiunge al compimento del requisito anagrafico di 64 anni di età, a condizione che risultino soddisfatti i seguenti ulteriori requisiti:

  • almeno 20 anni di contribuzione effettiva (con esclusione, pertanto, della contribuzione figurativa);
  • ammontare della prima rata di pensione non inferiore a 2,8 volte l’importo mensile dell’assegno sociale.

In termini pratici basta arrivare a 64 anni di età con 20 anni di contributi ed avere un assegno liquidato alla data di uscita dal lavoro, pari a circa 1.410 euro al mese se è vero che l’assegno sociale nel 2023 ha superato i 503 euro al mese.

Le pensioni per i contributivi puri e tutti gli evidenti svantaggi

Il vincolo della pensione minima è forse l’unico che mette in dubbio la reale possibilità per il nostro lettore di lasciare il lavoro a 64 anni come lui crede di poter fare. Essendo un commerciante, assoggettato alla contribuzione da lavoro autonomo, crediamo che a fronte di circa 23 anni di contributi (dal 2000 al 2023), difficilmente otterrà una pensione di importo così alto da essere utile alla pensione anticipata contributiva.

Più facile che debba attendere ancora qualche anno, spostando l’obbiettivo alla pensione di vecchiaia ordinaria. In quel caso l’uscita sarebbe sempre con almeno 20 anni di contributi, comprensivi però di eventuali contributi figurativi, da riscatto o volontari. Ma solo a 67 anni di età e con un assegno pari o superiore a 1,5 volte l’assegno sociale, cioè circa 750 euro al mese. Questa è di fatto una delle problematiche maggiori per i lavoratori privi di carriera al 1° gennaio 1996. Perfino una misura così generica come la pensione di vecchiaia ordinaria ha il requisito aggiuntivo da rispettare che è quello della pensione minima.

Pensione a 71 anni? ecco perché tutto può essere rimandato

Un lavoratore che ha iniziato a lavorare prima del 1996, anche solo un mese prima, potrà andare in pensione a 67 anni con 20 anni di contributi senza alcun limite di importo della pensione. Chi invece ha iniziato a lavorare dopo il 1995, è assoggettato a questo vincolo aggiuntivo. E se non si centra questo ulteriore requisito, la pensione di vecchiaia slitterebbe ancora.

La soglia anagrafica salirebbe a 71 anni. Infatti per i contributivi puri che non raggiungono la pensione a 67 anni resta la possibilità di quiescenza di vecchiaia a 71 anni, con solo 5 anni di contributi, e senza limiti di importo della prestazione.

Assegno sociale, pensione di vecchiaia e adeguamento all’inflazione

Il nostro lettore quindi, secondo noi dovrà lavorare ancora altri 4 anni, per andare in pensione a 67 anni nel 2027. Ad occhio infatti, supererà il limite di 1,5 volte l’assegno sociale grazie a 27 anni circa di versamenti (carriera iniziata nel 2000). Va ricordato comunque che il limite di importo delle pensioni ed il collegamento all’assegno sociale è suscettibile di variazione. Sia per le pensioni anticipate contributive che per la pensione di vecchiaia ordinaria per i contributivi. Ogni anno l’assegno sociale viene adeguato all’aumento del costo della vita dall’INPS. Quindi è presumibile che il lettore nel 2027 dovrà superare una cifra più elevata rispetto ai già citati 750 euro circa di oggi.