Anche se su alcune misure c’è ancora da attendere le probabili limature che faranno capolino nella Legge di Bilancio, ormai il pacchetto pensioni del governo Meloni e della sua manovra finanziaria è bello e fatto. A parte una misura particolarmente limitata che riguarda chi ha carriere lavorative molto lunghe, tra le novità del Governo ci sono le proroghe di alcune misure che hanno controindicazioni per chi le sceglie.

La misura del tutto nuova è quota 103, che però riguarda chi ha già 41 anni di contributi versati oltre ai 62 anni di età.

Evidente che sia una misura piuttosto limitata come platee. Le altre 2 misure più che novità sono proroghe di strumenti previdenziali che sarebbero dovuti scadere alla fine del 2022. Parliamo dell’Ape sociale e di Opzione donna.

Proprio quest’ultima misura è quella che consideriamo provvisoria per come sta uscendo fuori dalla bozza della manovra. Anche perché in seno alla maggioranza ci sono delle posizioni differenti su come impostare la misura per l’anno nuovo. Opzione donna però resta una misura talmente particolare che a qualcuno non conviene sfruttare. Rimandare di un anno il pensionamento potrebbe essere la soluzione migliore per molti lavoratori.

La nostra lettrice ci scrive

“Buonasera, mi chiamo Pamela e sono una lavoratrice con 40 anni di contributi versati. Visto che ho 60 anni di età e mi sento stanca di lavorare, mi chiedevo se con la proroga di Opzione donna nel 2023, per me sarebbe conveniente lasciare il lavoro senza dover lavorare ancora quasi due anni e arrivare ai 42 anni della pensione anticipata normale. Voi che dite, potrei scegliere la via del pensionamento adesso?”

Pensioni con penalizzazioni, opzione donna tra queste

pensioni

Una linea ormai presa dallo Stato italiano per garantire trattamenti pensionistici anticipati ai lavoratori è quella della penalizzazione dell’assegno. In parole povere si va a concedere una pensione in anticipo, chiedendo al lavoratore un sacrificio in termini economici, come importo degli assegni.

Una specie di baratto, perché sull’altare di qualche anno di anticipo sulla pensione, i lavoratori devono accettare tagli lineari per anno di anticipo o ricalcoli contributivi delle prestazioni.

In entrambi i casi e senza particolari tecnicismi, significa pensioni profondamente tagliate. Una di queste misure è proprio opzione donna. Si può lasciare il lavoro a 58 anni di età, ma con un pesante taglio sull’assegno percepito. E non è un taglio lineare (per ogni anno di anticipo), ma dipende dal ricalcolo contributivo della prestazione.

Meglio il lavoro in più o la pensione subito?

La nostra lettrice che ha già 40 anni di contributi versati potrebbe avere più di 18 di contributi versati già al primo gennaio 1996. Oppure potrebbe averne meno. E molto cambia in base alle due circostanze. Infatti se ha 18 o più anni al 31 dicembre 1995, avrebbe diritto al calcolo retributivo della pensione fino al 2012. Nel caso contrario, il diritto al calcolo retributivo si avrebbe fino al 31 dicembre 1995. E come è noto il calcolo retributivo è quello di maggior favore per i lavoratori.

Con più di 18 anni di contributi versati prima del 1996 il taglio della pensione con opzione donna potrebbe superare il 30%, rendendo l’Opzione meno favorevole. Molto dipende dalle circostanze, perché un sacrificio in termini economici potrebbe anche non essere così drammatico per chi non ha più la forza di lavorare. Soprattutto se non è nelle condizioni di avere necessità di una pensione elevata per vivere dignitosamente. Nel caso contrario, rimandare non sarebbe certo una cosa sbagliata.

Opzione donna e le pensioni nettamente in anticipo

Opzione donna è una misura che consente il pensionamento con molto anticipo rispetto alla pensione ordinaria, sia quella di vecchiaia che quella anticipata. Basti pensare che è possibile lasciare il lavoro già a 58 anni di età per le lavoratrici che hanno determinati requisiti. Inoltre bastano 35 anni di contributi e non i classici 41 anni 10 mesi che servono invece per la pensione anticipata ordinaria alle donne.

In ogni caso quindi si tratta di anticipare la quiescenza tra gli otto e i nove anni riducendo di molto la carriera lavorativa, anticipando così l’uscita dal lavoro. Ma opzione donna ha nel suo pacchetto normativo qualcosa di tremendamente negativo per le lavoratrici. Si chiama opzione e quindi è una misura che le lavoratrici devono scegliere di utilizzare per andare in pensione.

Nessun obbligo quindi, a tal punto che è anche in passato la misura ha funzionato poco come numero di adesioni forse proprio per le penalizzazioni di assegno. Il motivo è evidente e dipende dal ricalcolo contributivo a cui queste lavoratrici che scelgono l’opzione donna devono sottostare. Un ricalcolo contributivo che significa perdere tra il 30 e il 35% dell’assegno mensile di pensione.

Ecco a chi conviene lavorare ancora qualche anno

La nostra lettrice che si trova ormai a un passo dai 41 anni di contributi versati, potrebbe trovare conveniente rimandare questa scelta. Infatti più che uscire adesso con una pensione nettamente tagliata, potrebbe lavorare un altro anno ed arrivare alla soglia dei 41 anni di contributi versati che, nel 2023 valgono già la quota 103 a 62 anni di età. Ma nel 2024 potrebbero diventare utili a tutti i lavoratori se davvero l’idea della Lega di una quota 41 per tutti diventerà realtà. Infatti, la quota 41 di oggi, è destinata ai precoci che sono anche invalidi, disoccupati, caregiver o alle prese con i lavori gravosi. Oppure è la quota 41 che vale per quanti anni hanno già 62 anni di età e che quindi rientrano nella ormai conosciuta quota 103. Con un anno di lavoro in più quindi la lavoratrice del nostro quesito potrebbe avere diritto a una pensione calcolata col sistema misto e quindi più alta rispetto a quella che avrebbe diritto con Opzione donna. E con quel ricalcolo contributivo che come abbiamo detto taglia di molto la pensione soprattutto a chi ha più di 18 anni di contributi versati prima del 1996.