Le dimissioni del lavoratore possono fare seguito ad un accordo col datore che prevede il cd incentivo all’esodo. In altre parole, dipendente e capo possono stabilire la risoluzione del rapporto di lavoro e accordarsi su un corrispettivo. Ma l’incentivo all’esodo in caso di dimissioni conviene? Attenzione a fare i calcoli con la consapevolezza del trattamento fiscale. Chi paga le tasse? E quanto?

Incentivi all’esodo: guida per i datori di lavoro

Incentivo all’esodo e dimissioni: calcolo e imposte

Nell’ipotesi di cui sopra, il datore di lavoro dovrà versare solo le imposte determinate al momento della cessazione del rapporto sulla base dell’aliquota provvisoria.

Non è invece tenuto a versare nulla in caso di riliquidazione da parte dell’amministrazione finanziaria. Sul punto ha fatto chiarezza di recente il Tribunale di Roma: la sentenza è molto attuale e fa luce sulle problematiche emerse in molti rapporti tra sostituto di imposta, ovvero il datore, e sostituito, alias il dipendente che si dimette.

Nel caso di specie le parti avevano concordato un incentivo all’esodo che fosse esentasse per il lavoratore. L’azienda quindi, ricevute le dimissioni, aveva provveduto ad effettuare la ritenuta alla fonte, come per lo stipendio o il Tfr. Trascorso qualche anno però l’Agenzia delle Entrate aveva chiesto all’ex lavoratore la restituzione di una sorta di conguaglio fiscale emerso dopo il ricalcolo Irpef. In questo caso a pagare la differenza deve essere il lavoratore o l’azienda? I giudici hanno dato ragione al datore di lavoro riconoscendogli il diritto ad applicare le aliquote di tassazione in busta paga. Nel caso specifico è stato stabilito che nessun extra per la successiva riliquidazione fosse dovuto dal sostituto di imposta che aveva versato le imposte all’atto della cessazione del rapporto secondo l’aliquota provvisoria