Nel sistema pensionistico italiano esistono soltanto due misure che oggi consentono il pensionamento senza alcun limite di età. Una è la classica pensione anticipata ordinaria. L’altra è la pensione anticipata per i lavoratori precoci. Domani però la quota 41 per i precoci potrebbe diventare una misura per tutti, senza i vincoli che oggi accompagnano questo strumento pensionistico varato nel 2017 insieme all’Ape sociale. Ma a prescindere da tutto, anticipare l’uscita dal lavoro di qualche anno non evita ai lavoratori interessati, il sopraggiungere di qualche dubbio relativo alla perdita di assegno che questa scelta può produrre.

“Volevo chiedervi se posso, cosa ci rimetto a uscire oggi con quota 41 e non tra un paio di anni circa con la pensione ordinaria. Perché completo 41 anni di contributi il prossimo mese di novembre ed ho già ottenuto dall’INPS la certificazione del mio diritto alla pensione con quota 41. Ma volendo potrei ancora restare al lavoro, aspettando settembre 2025 ed uscendo con il massimo dei contributi. Secondo voi ci rimetto tanto di pensione e cosa ci guadagno restando al lavoro ancora fino alla fine? Premetto che ho diritto alla quota 41 per i precoci in quanto svolgo un lavoro gravoso.”

Le differenze tra la pensione anticipata ordinaria e la quota 41, ecco cosa devono guardare i lavoratori

Quota 41 per i precoci oggi è l’alternativa alla pensione anticipata ordinaria perché come quest’ultima, anche la prima è distaccata da qualsiasi limite anagrafico. Ma la quota 41 per i precoci riguarda solo determinate categorie che hanno, dei 41 anni di contributi versati, almeno un anno già completato prima di aver compiuto il diciannovesimo anno di età. La misura si rivolge a disoccupati privi di Naspi da almeno 3 mesi. Poi agli invalidi almeno al 74% ed ai caregivers che da almeno 6 mesi assistono un parente stretto, convivente e disabile grave. Infine, la misura si rivolge a chi svolge una delle 15 attività di lavoro gravoso previste.

Ed è proprio in quest’ultima categoria che dice di rientrare il nostro lettore.

Quota 41 meglio delle anticipate, si esce prima, ma è l’unico vantaggio

La prima differenza sostanziale tra le due misure, in attesa che dai precoci la quota 41 passi a tutti, come il governo pare intenzionato a fare, è sull’uscita. La pensione anticipata ordinaria consente il pensionamento solo a chi raggiunge i 42 anni e 10 mesi di contributi (per le donne 41 anni e 10 mesi). La quota 41 invece, si centra solo con 41 anni di contribuzione previdenziale. Per entrambe la misura c’è da fare i conti con una finestra di 3 mesi per la decorrenza del trattamento. E sempre per tutte e due le misure, 35 anni di contributi devono essere effettivi da lavoro, nel senso che non vanno conteggiati per questi 35 anni, i contributi figurativi da disoccupazione e malattia.

Attenzione al calcolo della pensione, ecco cosa si perde ad anticiparla

Se si guarda solo all’uscita dal lavoro, evidente che la misura più favorevole sia la quota 41. Ma va detto che per forza di cose uscire circa due anni prima per gli uomini, e poco meno di un anno prima per le donne, non lesina penalizzazioni di assegno. Innanzi tutto bisogna fare i conti con i circa due anni in meno di contributi versati. Perché restare al lavoro altri due anni porta due anni di contributi in più al montante. E la pensione con 42 anni e 10 mesi di contributi è più alta di quella con 41 anni.

I coefficienti di trasformazione del montante contributivo contano molto nel calcolo dell’assegno

Poi c’è da fare i conti con il coefficiente di trasformazione che è meno vantaggioso se l’età di uscita è più bassa. Per esempio, ipotizzando che il nostro lettore oggi ha 61 anni di età, l’ammontare dei suoi contributi (montante), dopo essere stato rivalutato al tasso di inflazione, viene moltiplicato per 4,744, che è il coefficiente 2023/2024 per le uscita a 61 anni.

Se invece aspetta due anni ed esce a 63 anni, la situazione cambia. Ed il nostro lettore godrebbe di un coefficiente del 5,028 (ma va detto che nel 2025 ci saranno gli aggiornamenti dei coefficienti). E per esempio, per un montante da 400.000 euro, a 61 anni la pensione perde oltre 1.000 euro all’anno rispetto a quella a 63 anni a parità di contributi versati.