Volano i Bitcoin e le altre criptovalute, ma attenzione al trattamento fiscale.

Se da un lato gli utenti si preoccupano di cavalcare l’onda rialzata dei Bitcoin e, in generale, delle Criptovalute, pochi si chiedono: ma quali e quante tasse devo pagare sui profitti generati dalla compravendita di questi strumenti finanziari?

La risposta potrebbe stupirvi. Nelle maggior parte dei casi, non bisogna pagare nulla. Vi spiego il motivo.

Un interpello che diventa risoluzione

Cominciamo col dire che il legislatore italiano (in realtà non soltanto quello italiano) non è ancora intervenuto sulla questione Botcoin attraverso l’emanazione di una normativa fiscale Ad hoc.

L’unico riferimento normativo, ad oggi disponibile, è la risoluzione n. 72 / E del 2 settembre 2016 dell’Agenzia delle entrate.

Questa risoluzione nasce da un’istanza di interpello avente ad oggetto: “Trattamento fiscale applicabile alle società che svolgono attività di servizi relativi a monete virtuali”.

L’Istante, in questo caso, è una società che effettua operazioni di acquisto/vendita di bitcoin. Dunque, un intermediario.

Nel rispondere al quesito dell’istante, relativamente al corretto trattamento fiscale da applicare alle suddette operazioni, l’Agenzia delle entrate si esprime anche in merito a quello delle persone fisiche.

Prima di passare oltre, chiariamo che l’Amministrazione finanziaria può fornire una risposta collettiva all’istanza di interpello mediante la pubblicazione di una risoluzione (art. 11, c. 6, Legge n. 212/2000) quando ritiene che il chiarimento fornito sia di interesse generale (la risposta all’interpello, invece, è valida soltanto per l’Istante).

Bitcoin come valute estere

Con riferimento al trattamento fiscale applicabile alle operazioni relative ai bitcoin e, in generale, alle valute virtuali, l’Agenzia delle entrate si rifà a quanto affermato dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea nella sentenza 22 ottobre 2015, causa C-264/14.

In sintesi, l’Agenzia delle entrate ritiene che:

  1. l’attività di intermediazione di valute tradizionali con bitcoin, svolta in modo professionale ed abituale, costituisce una attività rilevante oltre agli effetti dell’Iva anche dell’Ires e dell’Irap.
  2. le prestazioni in esame, pur riguardando operazioni relative a valute senza alcun corso legale, “costituiscono operazioni finanziarie in quanto tali valute siano state accettate dalle parti di una transazione quale mezzo di pagamento alternativo ai mezzi di pagamento legali e non abbiano altre finalità oltre a quella di un mezzo di pagamento”.

E per quanto riguarda le persone fisiche?

La stessa Agenzia, con la risoluzione sopra citata, sostanzialmente, equipara le criptovalute alle tradizionali valute estere.

Per quanto riguarda la tassazione ai fini delle imposte sul reddito delle persone fisiche che detengono i bitcoin al di fuori dell’attività d’impresa:

le operazioni a pronti (acquisti e vendite) di valuta (anche elettronica) non generano redditi imponibili mancando la finalità speculativa.

Il trattamento fiscale di questi strumenti, dunque, viene regolato dalla normativa relativa alle valute tradizionali, articolo 67 del Tuir.

In sostanza, in base a quest’ultima norma, il profitto generato dalla compravendita di bitcoin o altre criptovalute, può essere rilevante ai fini dell’imposta sul reddito solamente se la giacenza media dell’insieme dei cosiddetti “wallet” ossia i portafogli elettronici, detenuti dal contribuente, ha superato il controvalore di 51.645,69 euro per almeno 7 giorni lavorativi.

Soltanto in questo caso, la plusvalenza generata deve essere dichiarata nel quadro RT del modello redditi, ad essa bisogna applicare l’imposta sostitutiva del 26%.

Infine, di recente, l’Agenzia delle Entrate ha specificato l’obbligo di compilazione del rigo RW1 nella colonna 3 il codice 14 («Altre attività estere di natura finanziaria e valute virtuali»), riferibile al possesso di valute virtuali.

In particolare, deve essere indicato il controvalore in euro della valuta virtuale detenuta al 31 dicembre.

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