Lavorare in autonomia significa, il più delle volte, dover rinunciare ad alcune agevolazioni. Specialmente se il regime utilizzato fosse quello di una Partita Iva a sua volta agevolata.

Tuttavia, in alcune circostanze, la possibilità di usufruire di determinati vantaggi strategici esiste, soprattutto sotto forma di detrazione fiscale sulle spese sostenute. In questo senso, l’esempio dei buoni pasto è abbastanza calzante, specie in relazione alle suddette Partite Iva. La vulgata comune, infatti, associa i buoni pasto alle disponibilità delle grandi aziende, dimenticando che persino i liberi professionisti possono, talvolta, beneficiare di tale agevolazione, tanto per sé stessi quanto, eventualmente, per i loro dipendenti.

Come detto, però, esistono delle limitazioni specifiche. Ad esempio, i lavoratori autonomi, ossia quelli che utilizzano il regime di Partita Iva forfettario semplificato, non hanno diritto ai buoni pasto. E, insieme a essi, a una serie importante di agevolazioni altrimenti riconosciute.

Il regime fiscale detiene quindi una sua importanza. Il coefficiente di redditività associato al codice Ateco di riferimento, può sia concedere che vietare la detrazione o il rimborso spesa, anche in relazione ai buoni pasto. Chi opera in regime ordinario può comunque utilizzarli, assieme ai benefici che ne derivano sul piano del risparmio nella spesa che essi prevedono di ammortizzare. La Legge di Bilancio 2020 ha introdotto dei nuovi vincoli per tutti quei buoni pasto che non figurano come computabili a fini imponibili. Questi sono, quindi, di fatto esenti dal regime tassativo.

Buoni pasto e Partita Iva: quali sono i vantaggi e i limiti dell’agevolazione

I buoni pasto in forma cartacea hanno un tetto massimo di 4 euro giornalieri. Meglio va con quelli elettronici, estendibili fino 8 euro al giorno. Sulla base delle normative fiscali previste, la parte deducibile sulla spesa di acquisto resta standardizzata, mentre il valore monetario del buono stesso non viene qualificato come reddito imponibile. Sempre che, chiaramente, si mantenga entro i limiti specificati dalla normativa sia sull’una che sull’altra variante.

Qualche variabile subentra nel momento in cui il richiedente avanzi l’istanza per sé o per altri collaboratori.

Qualora un autonomo o un libero professionista (sempre in regime ordinario) acquisti dei buoni pasto per dipendenti o collaboratori, saranno costoro ad avere la possibilità di una detrazione per intero del costo d’acquisto. Tuttavia, resterà esclusa l’Iva agevolata al 4% esercitata dalla società.

Nel caso in cui l’acquisto avvenisse per uso personale, la franchigia scenderebbe e la deducibilità si attesterebbe al 75% del prezzo totale d’acquisto, limitandosi al 2% del fatturato totale annuo del professionista. Tale normativa è disciplinata dall’articolo 54, comma 5 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (Tuir). La deducibilità resta comunque uno dei vantaggi dei buoni pasto. Ad esempio, sul piano della detraibilità fiscale, la fattura mensile per l’acquisto dei buoni sarà sufficiente per garantire la regolarità con il Fisco. Inoltre, i buoni potranno essere utilizzati non solo per l’acquisto di pietanze per consumo personale ma anche per il sostentamento alimentare familiare, con le relative detrazioni che contribuiscono a ridurre la base imponibile. Sempre eccettuato i lavoratori in regimi fiscali agevolati.

Riassumendo…

  • I buoni pasto possono essere concessi anche ai lavoratori in Partita Iva, purché siano in regime ordinario;
  • la deducibilità varrà sia per i dipendenti in forma piena (qualora fossero a essi destinati) o con il 75% sul totale d’acquisto in caso destinati a uso personale;
  • come per i lavoratori ordinari, potranno essere utilizzati per la spesa alimentare.