Alla fine la sentenza della Corte di Cassazione è arrivata. Come avevamo anticipato nel nostro approfondimento Cessione dei crediti 110, chi paga imprese o contribuenti? Ora decide la Cassazione, la Cassazione era chiamata a chiarire quali erano le conseguenze in capo a chi in buona fede ha acquisito un credito edilizio che poi successivamente è stato verificato come inesistente.

Gli orientamenti giurisprudenziali a oggi erano due (Fonte relazione Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema bancario): in base ad un primo orientamento, il cessionario di buona fede non perde il diritto di utilizzare il credito fiscale da esso acquistato anche in caso di gravi irregolarità; in base ad un secondo orientamento, il cessionario di buona fede non può utilizzare il credito fiscale da esso acquistato in presenza di gravi irregolarità nei rapporti sottostanti.

La questione è stata risolta dalla Cassazione, terza sezione penale, con ben 5 sentenze separate.

La cessione del credito. Il dolo o la colpa grave

Il cessionario ossia le banche e gli altri intermediari finanziari che acquistano il credito dall’impresa o da altro soggetto, rispondono di un’eventuale irregolarità del credito solo in caso di dolo o colpa grave.

Dunque, in base alle indicazioni fornite dall’Agenzia delle entrate nella circolare n°33/E:

  • il dolo ricorre quando il cessionario è consapevole dell’inesistenza del credito, come ad esempio nel caso in cui quest’ultimo abbia preventivamente concordato con l’asserito beneficiario originario le modalità di generazione e fruizione dello stesso ovvero qualora il carattere fittizio del credito sia manifestamente evidente ad un primo esame, da chiunque condotto, e ciononostante il cessionario proceda comunque all’acquisizione e alla compensazione dello stesso nel modello F24, traendo un beneficio fiscale indebito correlato al credito inesistente;
  • la colpa grave ricorre quando il cessionario abbia omesso, in termini “macroscopici”, la diligenza richiesta, come, ad esempio, nel caso in cui l’acquisto dei crediti sia stato eseguito in assenza di documentazione richiesta.

C’è colpa grave anche in presenza di una palese contraddittorietà della documentazione prodotta dal cedente (ad esempio, nel caso in cui l’asseverazione si riferisca a un immobile diverso da quello oggetto degli interventi agevolati).

Le 5 sentenze della Cassazione che cambiano tutto

Il discorso si fa più complicato quando il credito che è stato acquistato in buona fede, si rileva inesistente.

Cosa succede in tali casi? Ebbene, nella circolare n°24/E 2020, l’Agenzia delle entrate aveva messo nero su bianco che:

se un soggetto acquisisce un credito d’imposta, ma durante i controlli dell’ENEA o dell’Agenzia delle entrate viene rilevato che il contribuente non aveva diritto alla detrazione, il cessionario che ha acquistato il credito in buona fede non perde il diritto ad utilizzare il credito d’imposta.

Come detto in premessa, la Cassazione, era chiamata a decidere sulle conseguenze in capo a chi in buona fede accetta la cessione di un credito che poi successivamente si è rivelato inesistente.

Ebbene, la questione è stata risolta dalla Cassazione, terza sezione penale, con ben 5 sentenze separate:

  1. n° 40867 (Ricorso Poste italiane);
  2. n° 40869 ( Cassa Depositi e prestiti);
  3. n° 40865 (Banco Desio);
  4. n° 40866 (Illimity bank);
  5. n° 40868 (Groupama assicurazioni).

Secondo la Cassazione, i crediti d’imposta acquistati da soggetti successivamente indagati per truffa aggravata ai danni dello Stato per beneficiare indebitamente del superbonus, risultano inutilizzabili anche da chi li ha rilevato il credito  in buona fede. Compresi gli intermediari finanziari. Dunque è legittimo il sequestro preventivo in capo a quest’ultimi. Con conseguente blocco del credito nel proprio cassetto fiscale.