“La nostra società dovrebbe rendere giusto e possibile per gli anziani non temere i giovani o essere trascurati dagli stessi, perché la prova della civiltà è il modo in cui ha cura dei suoi membri indifesi“, affermava Pearl S. Buck. Con l’avanzare dell’età è fondamentale che i più giovani si prendano cura delle persone più anziane.

Un concetto, quest’ultimo, da applicare negli ambiti più disparati, compreso quello lavorativo. Dopo aver trascorso la maggior parte della propria vita a lavorare, d’altronde, è più che normale non vedere l’ora di staccare la spina e andare in pensione.

Proprio quest’ultima, purtroppo, finisce spesso al centro delle polemiche per via dei bassi importi che portano i soggetti interessati a riscontrare delle serie difficoltà ad arrivare alla fine del mese.

La prova di civiltà, in effetti, sarebbe propria quella di garantire a tutti degli importi più alti. Questo in modo tale da permettere ai più anziani di avere una certa tranquillità economica. Per questo motivo, onde evitare spiacevoli sorprese, è sempre bene sapere in anticipo come si effettua il calcolo del trattamento pensionistico. In questo modo è possibile avere un’idea di quello che ci spetterà una volta lasciato il mondo del lavoro.

Come si calcola la quota A per la pensione ex Inpdap

Mentre si svolgevano i lavori che hanno portato alla definizione della Legge di bilancio 2023, è stato introdotto un emendamento volto a modificare alcuni parametri per il calcolo della pensione dei dipendenti pubblici, iscritti all’Inpdap. In pratica l’intento era quello di eliminare, per il calcolo retributivo, l’aliquota di rendimento “quota A”. In seguito all’intervento di alcuni sindacati, in particolar modo del settore sanitari, però, è stato deciso di non proseguire per tale strada.

Ma per quale motivo? Per capire perché i sindacati si sono opposti alla possibile cancellazione della quota A si deve prendere in considerazione l’incidenza nel calcolo del trattamento pensionistico.

Entrando nei dettagli le aliquote di rendimento sono parametri usati per il calcolo delle quote A e B di pensione con il sistema retributivo. Gli iscritti alle ex Casse di previdenza amministrate dal Tesoro. Ovvero  i dipendenti degli enti locali e del comparto sanità, ad esempio possono beneficiare di importanti vantaggi. Questo perché  utilizzano per il calcolo previdenziale le aliquote di rendimento contenute nella tabella A allegata alla legge n. 965 del 26 luglio 1965, pubblicata in Gazzetta Ufficiale.

Calcolo del trattamento pensionistico

La quota A fa riferimento a quella parte di pensione, definita secondo il sistema retributivo, inerente alle anzianità contributive maturate dal lavoratore sino al 31 dicembre 1992, ovvero prima dell’entrata in vigore della Legge Amato. Tale tabella prevede un aliquota di partenza del 23,865% con un’anzianità pari a zero. Percentuale che poi cresce lentamente nel corso degli anni, ma comunque con valori più alti rispetto alla tabella B. Il calcolo del trattamento pensionistico è dato dalla somma della quota A con la Quota B. Ebbene, la Quota A, come si legge su Il Sole 24 Ore Sanità:

“corrisponde al prodotto fra la retribuzione annua contributiva alla cessazione per il coefficiente della tabella “a” allegata alla legge 965 del 1965 relativo agli anni ed ai mesi di anzianità al 31/12/1992. Tale coefficiente varia da 0,23865 per 0 anni e 0 mesi a 1,00000 per 40 anni e 0 mesi. La quota b è determinata moltiplicando la retribuzione media pensionabile per l’aliquota risultante dalla differenza tra l’aliquota corrispondente al servizio totale e l’aliquota già individuata al 31/12/92. La retribuzione media pensionabile è determinata come media delle retribuzioni godute nell’ultimo 50% del periodo lavorativo prestato dal 1/1/1993 (che dal 1/1/96 diventa 66,6%) per coloro che al 31/12/92 vantavano un’anzianità di servizio di almeno 15 anni ovvero sull’intero periodo di servizio dal 1/1/93 per coloro che al 31/12/92 vantavano un’anzianità di servizio inferiore ai 15 anni”.