A guardar bene, nella Legge di Bilancio 2023, la prima del Governo Meloni, ha trovato posto anche qualche voce non esattamente di immediato rilievo per la situazione sociale corrente. Eppure, fino a qualche tempo fa, ritenuta quasi una porta dimensionale verso un futuro sempre più digitalizzato, anche per quel che riguarda la moneta. La Manovra opera un sensibile giro di vite sul Bitcoin e altre criptovalute che, dallo scorso 1 gennaio, non risultano assimilate a una valuta estera. Il passaggio chiave è al comma 126, che specifica la stretta operata sulle plusvalenze superiori a una certa somma, tradotta in una tassazione al 26%.

Ossia, al pari dei redditi da capitale e dei redditi diversi.

Nella fattispecie, si parla testualmente di plusvalenze e proventi simili realizzanti tramite rimborso o cessione a titolo oneroso, permuta o detenzione di cripto-attività. La notizia è che la tassazione si applicherà, sì, ma solo per le plusvalenze che supereranno la soglia dei 2 mila euro. Inoltre, attenzione alle diciture: la Legge di Bilancio del 29 dicembre scorso, infatti, fa riferimento alla cripto-attività come “rappresentazione digitale di valore o di diritti” trasferibili e memorizzati elettronicamente. Nel quadro, in sostanza, vengono inseriti anche gli Nft, i Non fungible token.

Bitcoin e Nft: cosa cambia in concreto

La politica sulle criptovalute non è ancora ben chiara perché non troppo chiaro è il loro reale valore. E, soprattutto, non lo è la reale possibilità che, in un futuro prossimo, Bitcoin e compagnia possano trasformarsi in una forma di pagamento standardizzata. Qualche Nazione per la verità ci aveva provato, adottando le crypto al pari della propria valuta corrente. Esperimento non del tutto riuscito, per non dire fallito, vista la difficoltà a tenere entro determinati regimi l’andamento del loro valore. Anche se l’aumento della digitalizzazione dei pagamenti prospettava un avvenire tutto sommato positivo per le criptovalute. La moneta digitale si era più volte dimostrata troppo suscettibili agli umori.

Non solo a quelli dei mercati ma anche degli endorsement da parte dei nomi più importanti della finanza, rendendo la loro efficacia abbastanza relativa.

L’Italia, con l’intervento in Manovra, segna una linea di demarcazione piuttosto netta: le operazioni tramite crypto diventeranno sì fiscalmente rilevanti ma solo in caso di conversione in una moneta “fiat”. Quindi una valuta a corso legale. Altro dettaglio: la permuta tra cripto-attività con medesime caratteristiche e funzioni non costituisce fattispecie rilevante a livello fiscale.

Come funziona la tassazione

Concretamente, a modificarsi è la normativa fiscale relativa alle valute estere per quel che concerne Bitcoin e Nft. In precedenza, infatti, le plusvalenze da queste prodotte non contribuivano alla formazione di un reddito, a meno che non vi fosse una giacenza sui conti correnti oltre i 51.645,69 euro per almeno una settimana di fila. In questo senso è stata operata la stretta: le criptovalute, in quanto ritenute alla stregua di un asset finanziario, hanno visto ridursi sensibilmente il margine di manovra. La tassazione al 26% scatterà già oltre i 2 mila euro di plusvalenza, azzerando o quantomeno riducendo il vantaggio rispetto agli Exchange traded product (Etp).

I quali, secondo gli analisti, risultano ora più convenienti, in quanto spetterebbe agli intermediari il compito di sbrigare le pratiche di compensazione per plus e minusvalenze. La Manovra, inoltre, ha disposto il pagamento delle imposte anche sulle plusvalenze generate da criptovalute rientranti in pratiche di donazione o addirittura di successione. In entrambi i casi si assumerà come costo, rispettivamente quello dichiarato e quello del donante.