La Naspi è un sussidio per disoccupati erogato dall’INPS ma solo a chi presenta domanda. La Naspi si applica a tutti i lavoratori dipendenti, ad esclusione di quelli del settore agricolo, dei lavoratori del pubblico impiego con contratto a tempo indeterminato e dei collaboratori. La disoccupazione però viene pagata dall’INPS solo se la perdita del lavoro è involontaria. L’indennità infatti non viene pagata a chi lascia il lavoro volontariamente. Non sempre è così però, perché a volte anche le dimissioni danno diritto alla disoccupazione indennizzata.

Ma bisogna sapere come muoversi e cosa fare. Anche a chi si dimette spetta la Naspi Inps, ma con questa procedura specifica che andremo ad illustrare facendo seguito ad una domanda di un nostro lettore.

“Gentile redazione, sono ormai un paio di mesi che sono arrivato ai ferri corti con il mio datore di lavoro. L’aumento del costo delle bollette e gli scarsi ordini che ha da parte dei clienti, sono le motivazioni che lo hanno spinto a non pagarmi lo stipendio ormai dal mese di luglio. Ogni tanto si presenta e mi porta la ricevuta del bonifico di 200 o 300 euro come acconto. Un’altra volta mi ha presentato una ricevuta di bonifico per l’intero stipendio, ma questo non è mai arrivato. Probabilmente perché non ha mai autorizzato il pagamento dalla banca. Gli ho chiesto di essere licenziato così da consentirmi di percepire la Naspi fino a crisi superata, ma lui non vuole. Infatti sostiene che pagherebbe una penale in caso di mio licenziamento. Mi hanno detto che le dimissioni potrebbero precludermi il diritto alla Naspi. Cosa consigliate?”

Rapporto di lavoro, tra dimissioni, ticket licenziamento e stipendio non pagato

Tutto ciò che ha detto il nostro lettore equivale al vero. Infatti in materia lavoro le burocrazie relative a licenziamenti e dimissioni sono piuttosto specifiche e limitative.

Due sono i punti salienti da considerare e che riguardano nello specifico il nostro lettore:

  • Con le dimissioni volontarie niente Naspi;
  • Il datore di lavoro deve pagare un ticket sul licenziamento.

Entrambe le cose sommate portano la situazione del nostro lettore ad essere piuttosto ingarbugliata. Se il datore di lavoro non vuole licenziarlo è evidente che non può essere costretto. Ma è altrettanto vero che il lavoratore che non percepisce lo stipendio non deve per forza stare al lavoro a prescindere da tutto. La via più semplice sarebbe quella delle dimissioni, ma in questo caso il lavoratore perderebbe il diritto alla Naspi. Ed è altrettanto vero che un datore di lavoro quando licenzia un lavoratore dipendente deve pagare una specie di contributo che finanzi una parte della Naspi che teoricamente spetterebbe al lavoratore licenziato. Si tratta del cosiddetto ticket licenziamento.

Quanto costa licenziare un lavoratore ad un datore di lavoro

Tanto più anziano di servizio è il lavoratore che viene licenziato, tanto più deve versare il datore di lavoro. Per l’anno in corso il cosiddetto ticket licenziamento ammonta a 557 euro circa per anno di servizio fino alla soglia massima di 1.673 euro. In termini pratici, il datore di lavoro del nostro lettore per licenziarlo, dovrebbe versare quasi 1.700 se il rapporto di lavoro è pari o superiore a 3 anni. Questo adempimento è evidente che sia un deterrente molto importante che spinge questo datore di lavoro a non voler licenziare il lavoratore.

C’è l’opzione delle dimissioni per giusta causa che salvano la Naspi

Una via per risolvere il tutto ci sarebbe. Si tratta dello strumento delle dimissioni per giusta causa. In base ai dettami normativi, il nostro lettore sta per avvicinarsi alla possibilità di presentare le dimissioni per giusta causa per mancato pagamento dello stipendio. Infatti la normativa prevede che le dimensioni più giusta causa per mancato pagamento di stipendio possono essere date da un lavoratore nel momento in cui un datore di lavoro si rende responsabile di questa inadempienza per almeno due mensilità.

Con le dimissioni per giusta causa il lavoratore dipendente non perde il diritto all’indennità di disoccupazione dall’INPS.

Con le dimissioni per giusta causa il datore di lavoro resta tenuto al ticket licenziamento

 

Oltretutto, il lavoratore potrebbe usare la minaccia di dimissioni per giusta causa per spronare il datore di lavoro a licenziarlo. Infatti ciò che molti non sanno è che in caso di dimissioni per giusta causa da parte di un lavoratore dipendente, i datori di lavoro sarebbero comunque chiamati a versare il ticket licenziamento. In pratica i datori di lavoro subirebbero lo stesso gli effetti economici del licenziamento, che probabilmente lo spingono a non voler licenziare il proprio lavoratore.

Come presentare le dimissioni per giusta causa per avere lo stesso la Naspi

Per dare le dimissioni per giusta causa la procedura è la stessa di quelle ordinarie. Il lavoratore se in possesso di SPID o delle altre credenziali di accesso ai servizi della pubblica amministrazione, collegandosi al sito dell’Ispettorato del Lavoro dovrà compilare il modulo di dimissioni. Le motivazioni che lo spingono a dimettersi non vanno indicate nel modulo, ma va reso edotto il Ministero che si tratta di dimissioni per giusta causa. Infatti sul sito istituzionale nel formulario occorre scegliere “dimissioni per giusta causa”. Questo genere di dimissioni non van dato con troppo ritardo rispetto all’evento da cui è scaturita la decisione da parte del lavoratore. Quindi nel momento in cui anche questo secondo stipendio viene meno, il lavoratore può provvedere a dare le dimissioni.