Per i giovani la pensione rischia di essere un miraggio. Nuove regole, allungamento della speranza di vita, lavoro precario e, soprattutto, mancanza di soldi, stanno rendendo il sistema pensionistico sempre più difficile da sostenere. Bisognerà lavorare di più per ottenere una rendita sufficiente per poter vivere. Su questo non c’è alcun dubbio.

Al punto che si sta creando con sempre maggiore evidenza, dal punto di vista previdenziale, una profonda discriminazione fra una generazione e l’altra. Quella dei nati fino alla fine degli anni 60 che hanno ottenuto il massimo dalla previdenza italiana grazie a un calcolo degli assegni basati sul sistema retributivo.

E quelli nati dopo che percepiranno la pensione in base al sistema di calcolo contributivo, più penalizzante rispetto al primo.

Giovani in pensione a 74 anni?

Ora fare delle previsioni sulle pensioni future dei giovani che iniziano a lavorare oggi è un azzardo. Soprattutto in un’era dove tutto cambia molto più rapidamente che in passato e dove non vi è certezza sull’evoluzione dell’economia e della società sempre più globale e fluida. Chi si sbilancia a dire che le pensioni future per i giovani saranno sempre più magre e lontane nel tempo ha solo interesse da coltivare. Come i fondi pensione, macchine da guerra messe in piedi dalla finanza per succhiare soldi allo Stato.

I gestori non perdono occasione per denigrare il sistema pensionistico pubblico, ben consapevoli che sono proprio loro, con l’ausilio della politica e di potenti gruppi di pressione, anche mediatici, a creare i presupposti per indirizzare i lavoratori verso la previdenza complementare privata. Esattamente come sta avvenendo per la snaità. Così si dice che i giovani lavoratori oggi andranno in pensione a 74 anni. A certificarlo è il Consiglio nazionale dei giovani assieme a Eures che traccia delle proiezioni cupe sul valore delle pensioni atteso nei prossimi decenni per i lavoratori dipendenti che oggi hanno meno di 35 anni.

Più precisamente, chi inizia oggi a lavorare andrà in pensione intorno ai 74 anni di età a partire dal 2057. O meglio, con la pensione di vecchiaia fra più di 30 anni, tenuto conto dell’aumento della speranza di vita che scatterà 7 anni più tardi rispetto a oggi.

I fondi pensione non sono la soluzione

E fin qui niente di nuovo. La legge già prevede un innalzamento graduale del requisito anagrafico. Non solo in Italia, ma anche in altri Paesi Ue. Quello che suona strano, invece, è che i media e la stampa specializzata continuano a suonare la grancassa della previdenza complementare. E la politica, ostaggio dei fondi pensione, non è in grado di fornire altre soluzioni, se non quelle di dirottare il Tfr verso le pensioni (private) integrative.

Quando il problema delle pensioni in Italia, come sostengono da sempre gli economisti e soprattutto l’Inps, parte dalla base. Cioè dalle retribuzioni che sono troppo basse rispetto alla media Ue. Bassi salari comportano minori contributi e quindi pensioni più basse. In un sistema contributivo come quello attuale è semplice da comprendere. Diverso nel sistema retributivo del secolo scorso o come avviene ancor oggi in Francia.

E lo si vede dal comportamento dei giovani under 35. Pochissimi finora hanno aderito a un fondo pensione negoziale o aperto che sia. Solo il 18% degli occupati destina il Tfr alla previdenza complementare. I ragazzi, a differenza dei lavoratori senior, sono meno preoccupati del futuro, forse anche perché troppo lontano. Ma allo stesso tempo lavorano oggi in condizioni di altissima incertezza e precarietà. Come si può pretendere che destinino il Tfr ad avide banche e assicurazioni in un contesto simile?

Riassumendo…

  • I giovani che cominciano a lavorare oggi rischiano di andare in pensione a 74 anni.
  • La soluzione al problema dei giovani lavoratori non è la previdenza complementare.
  • Tutti che spingono verso i fondi pensione, ma i giovani non ne vogliono sapere.