L’abbandono del posto di lavoro non sempre comporta il licenziamento. Lo afferma la Corte di Cassazione che in varie sentenze ha cercato di fare luce sulla controversa materia che oppone spesso i datori di lavoro ai lavoratori poco inclini a rispettare le regole stabilite dai contratti collettivi. Tanto nel settore privato quanto in quello pubblico, anche se per quest’ultimo la disciplina del rapporto di lavoro appare più definita dalla normativa vigente.

Licenziamento per abbandono del posto di lavoro

Ciò premesso, bisogna sempre distinguere i vari casi in cui si verifica l’abbandono del posto di lavoro, le ragioni per cui avviene e il rapporto di fiducia fra datore di lavoro e lavoratore.

Cosi ché, in linea di massima, lasciare il posto di lavoro senza giustificato motivo magari per svolgere altre attività approfittando della benevolenza o mancata sorveglianza da parte del datore di lavoro comporta sempre il licenziamento senza preavviso (si pensi ad esempio ai cos detti “furbetti del cartellino”). Abbandonare il posto di lavoro, invece, per causa forza maggiore o emergenza sopravvenuta senza aver avvisato il datore di lavoro, invece, non sempre comporta il licenziamento e la valutazione del caso è quasi sempre discrezionale.

Contratti collettivi e rapporto di fiducia

Tuttavia, sono numerosi i casi in cui il datore di lavoro, senza mezzi termini, licenzia il dipendente infedele per abbandono del posto di lavoro e, in assenza di una regolamentazione precisa, si finisce quasi sempre davanti al Giudice del Lavoro per dirimere la controversia. Anche perché la tematica dell’allontanamento ingiustificato dal posto di lavoro assume diversa importanza a seconda delle funzioni ricoperte dal lavoratore e dalle clausole contenute nel contratto collettivo nazionale che prevede, fra le altre cose, anche le sanzioni disciplinari da irrogare nei casi specifici. Il licenziamento per giusta causa è una di queste sanzioni, ma normalmente viene applicato solo per i casi più gravi.

Cosa dice la Corte di Cassazione

Posto, quindi, che i capisaldi su cui bisogna fare riferimento per valutare se il licenziamento del dipendente infedele è legittimo o meno sono il CCNL e il rapporto di fiducia, molto resta sempre da valutare, anche perché ogni caso va giudicato singolarmente anche in relazione al danno che ne deriva per il datore di lavoro. Nel caso di dipendente pubblico, poi, si potrebbe configurare anche il reato di truffa ai danni dello Stato. Sul tema la Corte di Cassazione ha cercato di fare chiarezza con una  sentenza risalente al 2009:

In tema di licenziamento la fattispecie del lavoratore che abbandona il posto di lavoro ha sempre dato adito a contrasti tra dottrina e giurisprudenza e tra giurisprudenza di merito e di legittimità. Questo perché l’abbandono del posto di lavoro determina condizioni di squilibrio alla organizzazione del datore di lavoro ed è anche da collocarsi, all’interno degli istituti civilistici come grave inadempimento, svilimento dell’intuitus personae, venir meno del rapporto fiduciario, inadempimento per il quale non può più essere preteso adempimento. Fatto sta che potrebbe esprimere il caso perfetto dell’irrogazione della massima delle sanzioni nella potestà del datore di lavoro:il licenziamento. Era ed è, insomma, l’unica occasione in cui potrebbe apparire possibile e praticabile per il datore di lavoro procedere all’ampia dimostrazione del proprio potere imprenditoriale e licenziare senza complicazioni e su due piedi il dipendente che si allontana senza dare notizia di sé, o che non manda il certificato medico nei tempi di legge, o che esaurito il periodo di malattia indicato dal precedente certificato medico non ne invia uno a copertura dei giorni di assenza successivi. Cosa che nella pratica spesso avviene.”