Le pensioni pubbliche tendono a diminuire e il traguardo si allontana sempre di più nel tempo. Fattori ai quali non siamo più abituati visto che fino alla fine degli anni 90 le rendite pubbliche italiane erano generalmente più generose di come sono oggi.

Lo scenario negativo (ma solo rispetto al passato) ha fertilizzato il terreno ideale per l’inizio della privatizzazione della previdenza. Con l’avvento delle pensioni complementari ci stiamo infatti abituando all’idea che servirà un sostegno aggiuntivo alla rendita statale per vivere dignitosamente in vecchiaia.

E quindi destinare soldi ai privati, banche e assicurazioni. Esattamente come avviene per la sanità.

Come funziona la pensione integrativa

Al di là del fatto che non è possibile sapere come saranno le pensioni fra dieci o cent’anni, possiamo solo intuire che queste non saranno più generose come in passato. Per cui si tende a fare sempre più affidamento sulla previdenza complementare di cui, tuttavia, pochi ne conoscono esattamente il funzionamento. Ci si affida a consulenti, banche, assicurazioni, esperti di previdenza e di finanza. Figure spesso nuove, come il consulente previdenziale o assicurativo.

Con lo scopo di raccogliere sempre più soldi da investire in fondi pensione dietro la la promessa di una rendita futura a integrazione della magra pensione Inps. La via principale è quella della cessione del trattamento di fine rapporto (Tfr) a fondi negoziali, aperti o PIP. Ma poi anche i datori di lavoro aggiungono qualcosa. Sul sito web della Covip ce ne sono decine di questi fondi. Ma cosa sono esattamente?

Si tratta di uno strumento di risparmio di lungo periodo che hanno come finalità principale l’integrazione pensionistica. Servono dunque per colmare il gap previdenziale tra pensione pubblica e l’ultimo reddito percepito dai lavoratori. Mediante appunto a versamenti periodici derivanti dalla cessione del Tfr o Tfs fino all’età pensionabile.

Quando iniziare a versare i contributi

La scelta di aderire ai fondi pensione alla pensione integrativa per un lavoratore è sempre libera e aperta. Incentivi fiscali e paure per il futuro condizionano, però, queste scelte che nella maggior parte dei casi coinvolgono sempre più lavoratori. Soprattutto quelli di media età. Fra i giovani, invece, vi è scarsa propensione alla pensione integrativa.

Al di là dei motivi, tutti leciti e comprensibili, quando converrebbe iniziare a versare per la pensione integrativa? L’ideale sarebbe quello di farlo sin da giovani, al momento dell’ingresso nel mondo del lavoro, sempre che l’occupazione non sia temporanea o precaria, come purtroppo spesso accade.

Più versamenti si fanno con continuità e regolarmente, maggiori saranno i benefici di una rendita integrativa al momento del pensionamento. I fondi pensione funzionano esattamente come i fondi d’investimento, con la differenza che non si possono riscattare quote già versate se non alla fine del piano di accumulo previdenziale.

L’alternativa del Tfr alla pensione integrativa

Rischi a parte, alla fine della carriera si otterrà una rendita supplementare da affiancare a quella pubblica in modo da colmare, se non del tutto, quella differenza fra ultimo stipendio e pensione.

Ovviamente bisogna tenere presente che ciò comporta la rinuncia ad avere una liquidazione o buonuscita al momento delle dimissioni o del licenziamento. Soldi che rappresentano spesso un tesoretto utilizzabile nei momenti di bisogno e che, analogamente ai fondi pensione, potrebbero essere impiegati proprio per ottenere a fine carriera la stessa pensione integrativa investendoli in titoli di Stato.

Riassumendo…

  • Per ottenere una buona pensione integrativa è necessario versare contributi sin da giovani.
  • Vantaggi fiscali e scenario negativo futuro spingono a sottoscrivere fondi pensione.
  • Anche col Tfr si può ottenere una rendita integrativa a fine carriera.