Una partita a dadi con le pensioni. Questa sembra essere diventata l’attività più amata (e non vogliamo chiamarlo “hobby”) dai partiti in questo periodo pre-elettorale. Il popolo dei lavoratori che si trova vicino – ma non l’ha ancora raggiunta pienamente – all’età pensionabile sembra essere diventato il bacino privilegiato dove andare a pescare voti, anche e soprattutto grazie all’esca della tanto sospirata pensione.

Infatti, Quota 41 continua a tenere banco fra le promesse elettorali di cui in questi giorni si è tornati a parlare diffusamente.

La Lega ci tiene in particolar modo, ma anche i sindacati continuano a martellare su questa “speciale opportunità”.

Al punto che la Cisl ha già stimato 800 mila uscite anticipate con Quota 41 nel 2023 se dovesse essere approvata la riforma. Consentendo, così, a tanti giovani di poter subentrare al lavoro col ricambio generazionale. Ma funziona davvero così? Pensionare quasi un milione di persone nel solo 2023 sarà l’argine forte alla disoccupazione giovanile e, anzi, darà una spinta al rinnovamento e alle assunzioni? Questa marea di lavoratori precoci potrà finalmente accedere alla pensione anche senza aver compiuto i 67 anni di età?

800 mila lavoratori in pensione nel 2023

Niente di più falso. In primo luogo andare in pensione con 41 anni di contributi indipendentemente dall’età non produrrebbe particolari vantaggi sociali. Già oggi si può uscire dal lavoro con 1-2 anni e 10 mesi in più, come previsto dalle regole Fornero.

In secondo luogo non è con le uscite anticipate che cresce l’occupazione giovanile. Lo dimostra il fallimento di Quota 100 che prevedeva l’uscita anticipata ben 5 anni prima. Solo un lavoratore su tre – dice l’Inps – ha partecipato al turnover. E le aziende ne hanno approfittato per ridurre il personale e tagliare i costi.

E se non ha funzionato Quota 100 e, in misura ancora minore Quota 102, come possiamo immaginare che andrà bene con Quota 41? Quindi da questo punto di vista è bene dire le cose come stanno basandosi su dati reali e non su pronostici della domenica che lasciano, come sempre, il tempo che trova.

E poi – diciamocelo chiaramente – il settore privato già provvede ad assumere giovani lavoratori in cambio di prepensionamenti. Grazie ai contratti di espansione, le aziende mandano a casa i lavoratori a 62 anni. Le banche anche a 60 con i contratti di solidarietà.

Quota 41, un buco da 18 miliardi

Ma non è finita qui. Ci sono anche i costi da sostenere. Quota 41 costerebbe 18 miliardi di euro fino al 2025. Soldi impossibili da trovare in fretta e furia con la legge di bilancio 2023. Alla vigilia dell’insediamento del nuovo governo i tempi sono troppo stretti e limitati all’ordinaria approvazione del bilancio dello Stato.

Per portare avanti il progetto di Quota 41 servirebbe un’ampia discussione parlamentare e, soprattutto, un sensibile scostamento di bilancio con altrettanta approvazione di legge. Impossibile da attuare entro fine anno. Per cui togliamocelo dalla testa e non facciamoci illusioni: Quota 41 non si farà quest’anno. Pena gravi conseguenze economiche e finanziarie.

Lo stesso Inps ha messo in guardia il Parlamento uscente sull’entità della spesa previdenziale che ha raggiunto la cifra record di 312 miliardi di euro nel 2021. Con possibili conseguenze sulla tenuta patrimoniale dello stesso Istituto nazionale.