Lo yen è tornato ad indebolirsi contro il dollaro ai minimi dallo scorso mese di novembre. Scambiava a 143,30 nella seduta di venerdì, pur in ripresa dai quasi 145 toccati il 29 giugno scorso. Perde il 10,75% rispetto al cambio più forte toccato quest’anno, per l’esattezza nei primi giorni di gennaio. Un collasso che si spiega con due parole ormai in disuso in Europa: tassi negativi! Incredibile che possa sembrare, la Banca del Giappone tiene ancora il costo del denaro a -0,10%, mentre nell’ultimo anno tutte le altre principali banche centrali si sono affannate ad alzare i tassi e continueranno a farlo nei prossimi mesi.

La Federal Reserve li ha portati al 5,25%, la Banca Centrale Europea al 4%, la Banca d’Inghilterra al 5% e la Banca Nazionale Svizzera all’1,75%.

Cambio a 160 e intervento Banca del Giappone

Una flemma a Tokyo che si spiega con la bassa inflazione che registra il Sol Levante rispetto alle grandi economie mondiali: al 3,2% a maggio. L’apice è stato toccato a gennaio con il 4,3%. Nulla a che vedere con l’instabilità dei prezzi al consumo altrove. Il governatore della Banca del Giappone, Kazuo Ueda, si è insediato agli inizi di aprile dopo dieci anni di doppio mandato espletato dal predecessore Haruhiko Kuroda. Il mercato si aspettava che avrebbe mutato le direttrici della politica monetaria, mentre questa è rimasta totalmente invariata.

I capitali tendono a spostarsi verso quei paesi con tassi d’interesse più alti. Gli afflussi rafforzano i tassi di cambio e contribuiscono per tale via a contenere i costi dei beni importati, cioè l’inflazione. Il contrario accade quando si registrano deflussi, vale a dire quando i tassi in un’economia risultano inferiori a quelli vigenti nelle altre concorrenti. Ciò spiega l’indebolimento dello yen. A settembre e ottobre, Kuroda fu costretto ad intervenire due volte sul mercato forex per sostenere il cambio.

Non accadeva dal 1998. Un dollaro era arrivato a valere più di 150 yen.

Secondo l’ex vice-ministro delle Finanze, Eisuke Sakakibara, in carica tra il 1997 e il 1999, lo yen contro il dollaro arriverà a scambiare entro l’anno a 160. Rispetto ai livelli attuali, implicherebbe un indebolimento ulteriore del 10%. A suo avviso, raggiunta tale soglia la Banca del Giappone interverrà su richiesta dell’attuale vice-ministro delle Finanze, Masato Kanda. Nel Sol Levante spetta a tale carica l’attivazione degli interventi sul mercato dei cambi. Per l’ex funzionario del governo, l’istituto interverrà “a sorpresa”, senza annunci. Ed è assai verosimile che nel caso le cose vadano così. La banca centrale nipponica tende a sorprendere il mercato per infliggere il massimo “dolore” possibile a cui specula sullo yen. Così facendo, centra l’obiettivo di inviare un segnale di avvertimento agli investitori.

Yen più forte per SocGen

Se la crescita economica si consoliderà nel paese, spiega, la Banca del Giappone sarà costretta successivamente a porre fine ai tassi negativi e/o ad abbandonare entro l’anno il controllo della curva dei rendimenti. Solo in questo modo avrebbe la possibilità di sostenere lo yen senza l’assillo degli interventi sul mercato. Da anni i rendimenti sovrani non possono superare determinate soglie. A dicembre, quella per il decennale fu raddoppiata allo 0,50% per allentare la pressione sui bond. Non la pensa così Société Générale, i cui economisti prospettano da qui ad un anno un rafforzamento del cambio contro il dollaro fin sotto 130. E ciò equivale a prevederne l’apprezzamento del 10%. L’esatto opposto della previsione di Sakakibara.

La banca francese sostiene che ci sarà un ritorno alla convergenza sui tassi d’interesse nel medio termine. Tra un anno, stima, il rendimento del T-bond a 2 anni scenderà al 2,66%. Questa settimana è salito fino al 5,10%, ai massimi dal 2006.

Dunque, la pressione sullo yen si ridurrebbe fortemente. Venerdì, per la prima volta in oltre un anno il dato sui posti di lavoro non agricoli a giugno è risultato sotto le attese, pur ancora abbondantemente positivo e con un tasso di disoccupazione sceso dal 3,7% al 3,6%. Quanto è bastato per “sgonfiare” i rendimenti americani lungo la curva. Piccolissimi segnali di un possibile impatto negativo della stretta monetaria della FED sull’economia. A dire il vero, fin troppo poco per trarre conclusioni.

In definitiva, lo yen dovrebbe o indebolirsi del 10% o rafforzarsi del 10% nei prossimi mesi. Ci sarebbe da ridere se non fosse che queste previsioni svelino la grande incertezza che ruota intorno alle prossime mosse delle banche centrali. A loro volta esse rifletteranno le condizioni economiche, attese ovunque relativamente deboli. Chi punta sull’indebolimento dello yen, tutto sommato si mostra ottimista sull’economia mondiale; viceversa per chi punta sul suo rafforzamento. A meno che quest’ultima previsione non incorpori l’attesa per un cambio di linea monetaria a Tokyo, in apparenza ancora immutabile.

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