Il welfare italiano si sta sgretolando anno dopo anno. Il sistema pensionistico e assistenziale degli anni 70-80 invidiato da tutto il mondo, si sta rilevando oggi più fragile che mai. Il crollo della natalità, l’aumento dell’invecchiamento e la diffusione dell’assistenzialismo a tutti i livelli, uniti a una spesa previdenziale che sta per raggiungere soglie mai viste in passato stanno mettendo a dura prova lo stato sociale tricolore. Lo si vede dai numeri, quelli delle pensioni e sull’aumento della spesa dell’Inps.

A riportare di recente l’attenzione sul tema è l’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti che in una recente intervista ha ammonito il governo a non sottovalutare la spesa per le pensioni. Finora questo esecutivo ha fatto bene a frenare sugli anticipi – dice Tremonti – ma per chi l’ha preceduto non si può dire altrettanto. E il riferimento tacito è all’introduzione delle varie e scellerate misure di pensioni anticipate per dribblare la riforma Fornero del 2011.

Lo stato sociale (welfare) si sta deteriorando a ritmo sostenuto

Tremonti parte dall’analisi demografica del Paese che preoccupa. L’invecchiamento della popolazione tendenzialmente non è un problema. Lo diventa, però, se alla base non c’è ricambio generazionale e l’economia non cresce come dovrebbe. In altre parole, non si fanno più figli come in passato e i lavoratori diminuiscono. I dati Istat dimostrano che siamo ormai sotto quota 400 mila nati all’anno dal 2021 e che stiamo per superare il punto di non ritorno. Per sostenere le pensioni servono almeno 1,5 lavoratori ogni pensionato. Ora siamo a 1,4 ma la tendenza è in peggioramento.

Lo scorso anno l’Inps aveva già fotografato una situazione preoccupante. In Italia ci sono 23 milioni di lavoratori che sostengono oltre 16 milioni di pensionati con tendenza a una graduale e inarrestabile avvicinamento delle due cifre. In un sistema a ripartizione come il nostro, secondo l’ex presidente Inps Pasquale Tridico – nel 2050 il rapporto fra lavoratori e pensionati sarà di 1 a 1.

  Ma in alcune regioni del Sud è già così. Ai ritmi attuali, rincara la dose Tremonti,

“entro 20 anni non reggerà più il sistema delle pensioni e della sanità. Non ci sarà più lo Stato sociale e questo è poco importante per chi ha i soldi, ma è drammatico per chi non li ha”.

Pensioni e tagli ogni anno, un colpo al cerchio e uno alla botte

Sulle pensioni è ormai scontato che si sta andando verso una deriva. Ogni anno la manovra di bilancio introduce tagli che produrranno risparmi di spesa tali solo per tenere in equilibrio il sistema. Ma non per renderlo sostenibile nel lungo periodo. Ma non si può nemmeno fare di più. Alcuni esperti tendono a gettare acqua sul fuoco, ma è del tutto evidente che la spesa pensionistica sta mettendo sotto pressione ormai da troppo da tempo i conti pubblici.

Sulle pensioni anticipate sta quindi caldano sempre di più la mannaia. Uscire a 62 anni dal lavoro con Quota 103 non converrà più e i progetti per Quota 41 sono definitivamente tramontati. Si punta, poi, al ricalcolo contributivo degli assegni per chi vuole andare in pensione prima della vecchiaia. Evitare tagli e superare ostacoli dal 2024 sarà sempre più difficile. Non ci sarà altra possibilità in futuro perché l’entrata a regime del nuovo sistema di calcolo introdotto nel 1995 con la riforma Dini arriverà troppo tardi al traguardo sperato per rimettere tutto a posto.

Per non parlare delle rivalutazioni delle pensioni che dallo scorso anno sono state limitate. Oggi solo chi prende una rendita fino a 4 volte il trattamento minimo ha diritto alla perequazione piena. Tutti gli altri stanno subendo tagli, chi più e chi meno, con evidenti perdite di potere di acquisto.

Aumenta la spesa per le pensioni, diminuisce il Pil

Purtroppo, al di là di ogni ragionamento di convenienza, alla fine sono sempre i numeri quelli che contano.

Alla fine del 2023 la spesa per pensioni supererà i 317 miliardi di euro, contro i 297,1 miliardi dello scorso anno. Ma l’anno prossimo si arriverà a 340,5 miliardi secondo le stime degli esperti ministeriali, il 16% del Pil. Con tendenza a raggiungere il 17% nel 2026-2027. Un’impennata in gran parte dovuta all’indicizzazione degli assegni alla corsa dell’inflazione. Ma anche al fatto che per anni sono state elargite pensioni con troppa leggerezza, spesso in assenza di adeguate coperture contributive, a carico della collettività e delle generaizoni future.

Senza andare troppo indietro nel tempo, le pensioni liquidate con Quota 100 a 62 anni graveranno sulle generazioni future, costrette a lavorare fino anche a 70 anni per pagarle. Per non parlare dei privilegi ancora esistenti per militari e forze dell’ordine che a 60 anni possono già lasciare il servizio, visto che la riforma Fornero non li aveva toccati.