Oltre 4.000 cantine presenti quest’anno all’edizione di Vinitaly, la fiera per il settore vitivinicolo italiano, vetrina di una delle grandi eccellenze del Made in Italy. Un fantasma si è agitato anche in questi giorni tra gli stand e forse ha fatto persino più paura di quello che esacerbò gli animi dodici mesi fa. Allora, era stata l’imposizione dell’etichetta sui rischi per la salute da parte dell’Unione Europea ad avere acceso il campanello d’allarme e le proteste dei produttori.

Adesso, ad impensierire c’è il vino senza alcol. Per i cultori della materia, una bestemmia solo a parlarne. Il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, è stato netto: “non chiamatelo vino, ma succo d’uva senza alcol”.

Vino senza alcol opportunità da ponderare bene

Dal mondo dei produttori le idee non sono ancora chiarissime. Se da un lato esiste la convinzione che bisogna difendere l’eccellenza italiana, dall’altro si guarda al fenomeno con pragmatismo per coglierne le eventuali opportunità. Il vino senza alcol fa parte del cosiddetto “vino Nolo”, cioè senza alcol o con bassa (“low”) gradazione alcolica. Per il momento, parliamo di una nicchia di mercato: 44,3 milioni il fatturato del vino senza alcol, 214,6 milioni per quello con bassa gradazione alcolica.

Tuttavia, a rilevare sono i trend. L’anno scorso, le vendite di vino senza alcol sono aumentate del 18% in volume e del 52% in valore. Invece, il vino con poco alcol è crollato del 18% in volume e del 13% in valore. Nello stesso anno, il fatturato del vino tradizionale ha accusato il primo calo dal 2020: -2,9% a 13,3 miliardi. Di questi, le esportazioni sono scese del 2,2% a 7,65 miliardi, mentre le vendite sul mercato domestico del 4% a 5,61 miliardi.

Domanda in aumento per il vino senza alcol

Domanda in aumento per il vino senza alcol © Licenza Creative Commons

La domanda c’è, non solo tra gli astemi

L’aspetto più interessante riguarda le potenzialità di questo mercato.

Oltre un terzo degli italiani sarebbe interessato al vino senza alcol. Per l’esattezza, il 36%. La percentuale scende al 16% tra gli astemi, sale al 37% tra i consumatori occasionali di bevande alcoliche e arriva al 42% tra i consumatori abituali. La domanda esiste, anche se l’offerta per il momento resta bassissima. E per quanto il trend sia partito essenzialmente tra i giovani, riguarderebbe ormai tutte le fasce di età.

Il vino senza alcol può rappresentare una soluzione di consumo per coloro che non possono bere vino per ragioni di salute o religiose (pensate i mussulmani) o che vogliono evitare di bere in alcuni momenti, come quando ci si mette alla guida. Insomma, intercetterebbe una richiesta ad oggi rimasta insoddisfatta. E’ anche vero, però, che la bevanda prodotta dalla spremitura dell’uva ricorderebbe molto alla lontana quella fermentata. L’odore può anche essere simile, ma non il gusto. Non è un problema di purismo o conservatorismo che dir si voglia. La filiera si mostra giustamente attratta e preoccupata allo stesso tempo.

Italia dietro solo alla Francia per export di vino

Come ha ragionato lo stesso Lollobrigida, c’è il rischio che andiamo ad aprire un mercato sul quale non sappiamo se saremo un’eccellenza, lasciando un mercato che sappiamo essere un nostro punto di forza. L’Italia è dietro nel mondo alla sola Francia per esportazioni. Siamo leader in 46 stati contro 51, davanti nettamente alla Spagna che si piazza prima solo in 10. Semmai, abbiamo ancora da compiere notevoli passi in avanti sul fattore prezzo: esportiamo in media a 3,65 euro al litro contro i 9,38% delle bottiglie francesi. Non a caso i concorrenti transalpini all’estero fatturano ben 12 miliardi.

Qual è il dilemma? Se l’Italia puntasse sul vino senza alcol, non rischierebbe di darsi una martellata sui piedi? E se non lo facesse, non corre il pericolo di restare indietro nelle nuove tendenze di consumo? In sostanza, una chiusura aprioristica nessuno l’ha opposta al Vinitaly.

Lo stesso ministro non ha fatto una crociata come nel caso della farina di grillo. Semmai, ha fatto presente che bisognerebbe distinguere sul piano lessicale le due bevande e che il governo non promuoverebbe il nuovo prodotto.

Crociata contro il vino dall’Europa

C’è una questione di difesa dell’interesse nazionale dietro a questa visione. Il vino è uno dei prodotti per cui l’Italia è nota nel mondo. Sarebbe strano che partisse da noi stessi la promozione di un’alternativa. Sarebbe come se i tedeschi, noti produttori di Bratwürste, si mettessero a fare proselitismo nel mondo a favore della dieta vegetariana. Ma se la tendenza esiste, i produttori italiani non possono ignorarla. Anche perché il vino senza alcol è la risposta a una crescente consapevolezza sugli effetti collaterali degli alcolici.

Proprio in queste settimane è tornata in auge la polemica sulla natura cancerogena dell’alcol. Secondo l’immunologa Antonella Viola, anche un solo bicchiere di vino farebbe male. Alcuni suoi colleghi sono meno drastici sul tema e fanno leva più che altro sulle quantità. Fatto sta che anche da Bruxelles sono arrivate bordate con l’etichetta come per le sigarette. L’asse italo-francese non è stato in grado di superare quello nordico e una certa pregiudiziale ideologica arrivata dalla sinistra dell’Europarlamento.

Immunologa Viola contro il vino

Immunologa Viola contro il vino © Licenza Creative Commons

Vino senza alcol, produttori aperti e accorti

La sensazione è che il settore vitivinicolo italiano voglia soddisfare la domanda senza fare rumore; un modo per esserci nell’apertura di spazi di mercato, ma senza danneggiare il brand tradizionale. Perché come hanno tuonato da Vinitaly, non sappiamo se la crescita della domanda sia temporanea. C’è la possibilità non remota che per cavalcare la tendenza, il settore crei un danno d’immagine al prodotto tradizionale.

Il vino senza alcol non è un anatema, l’importante saper essere accorti nel gestire le istanze che avanzano dai consumatori. Se ciò debba passare anche per una separazione lessicale, resta da vedere. Può darsi che ai bevitori di vino non vada giù essere associati a coloro che consumano succo d’uva non fermentato. E il mercato deve tenere in assoluta considerazione anche le istanze dei “vecchi” consumatori.

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