La stretta monetaria prosegue, ma il grosso è fatto per dirla con le parole del governatore croato Boris Vujcic. E a dargli ragione sono non solo le dichiarazioni di altri esponenti di spicco alla Banca Centrale Europea (BCE), quanto le previsioni dello stesso istituto riguardo all’andamento futuro dell’inflazione. Questa dovrebbe scendere a una media del 2,8% nel quarto trimestre di quest’anno, viaggiando in area 3% nel 2024 e tendendo al target del 2% nel 2025. Dunque, già verso la fine di quest’anno assisteremmo a una grossa discesa dell’inflazione nell’Area Euro, che a febbraio è stata del 6,9%.

E per i tassi BCE le conseguenze appaiono inevitabili: il loro aumento giunge quasi al termine.

Rialzo tassi BCE “data dependent”

In settimana, ha parlato il capo economista Philip Lane, che possiamo considerare la voce ufficiale di Francoforte e del suo governatore Christine Lagarde. Egli ha spiegato che, sulla base delle previsioni sull’inflazione, i tassi BCE dovranno continuare a salire anche a maggio. Dopodiché ha aggiunto che, in ogni caso, le valutazioni dovranno essere “data dependent”, cioè legate all’andamento dei dati macro. In altre parole, non c’è più certezza che la stretta prosegua. Meccanismi comunicativi per preparare i mercati alla sua cessazione quasi imminente.

Proprio i mercati scontano un rialzo dei tassi BCE dello 0,25% a maggio e un altro della stessa entità in estate. Dunque, i tassi sui depositi bancari salirebbero al 3,50% e quelli di riferimento al 4% rispettivamente dal 3% e 3,50% attuali. Non è detto, però, che anche a giugno il board continui ad aumentare il costo del denaro. Molto dipenderà dalle condizioni macro per allora, a loro volta dipendenti in buona parte dalla tenuta della stabilità finanziaria. Le banche scricchiolano, avendo dovuto assorbire un aumento di 350 punti base dei tassi BCE in appena otto mesi.

Incognite da OPEC e Ucraina

Il problema principale è che gli istituti e le case d’investimento hanno a bilancio asset (obbligazioni, azioni, ecc.) svalutatisi con la stretta.

Se dovessero avere bisogno di liquidità e per questo rivendessero tali asset, subirebbero perdite anche pesanti, che a quel punto passerebbero da virtuali a reali. Oltre ai tassi BCE in sé, poi, il mercato guarda con timore al Quantitative Tightening, la riduzione dei bond a bilancio da parte della BCE. Tra marzo e giugno, avverrà al ritmo di 15 miliardi di euro al mese. Dopo giugno, la Bundesbank e gli alleati del Nord Europa riusciranno ad accrescere il taglio degli acquisti? Se sì, la pressione sui bond aumenterebbe e la liquidità sui mercati si ridurrebbe ulteriormente. Sarebbe un altro aumento mascherato dei tassi BCE.

Un tiro mancino all’Occidente lo ha tirato nei giorni scorsi l’OPEC, che ha annunciato il taglio dell’offerta di petrolio per 1 milione di barili al giorno da maggio. L’aumento delle quotazioni petrolifere è stato, tutto sommato, contenuto. Tuttavia, le banche centrali sono in allerta per le possibili ulteriori misure che il cartello adotterebbe nei prossimi mesi e tali da rallentare la discesa dell’inflazione o persino di provocarne una risalita. Eventi come questi danno il senso di come nulla sia scontato del tutto. La stretta sui tassi BCE volge al termine, ma restano le incognite Ucraina e le tensioni con il blocco sino-russo a poter ancora sparigliare le carte. Dal punto di vista di Francoforte, però, il rafforzamento del cambio euro-dollaro allenta le pressioni per continuare ad alzare i tassi. Ed è a sua volta conseguenza della prevista cessazione imminente della stretta negli Stati Uniti.

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