Europa e Cina sono sempre più ai ferri corti. Pesa il clima da “guerra fredda” provocato dall’invasione russa dell’Ucraina e arrivato dopo due anni di tensione tra Occidente e Pechino sulla pandemia. Giovedì a Bruxelles, la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha tenuto un discorso a tratti allarmato e dai toni nettissimi contro la Cina. Ha manifestato la sua preoccupazione per la possibile chiusura agli investimenti europei e ha parlato della necessità di perseguire un “derisking diplomatico ed economico”.

Espressione che equivale ad avvertire gli stati comunitari sull’opportunità di allentare i rapporti con l’economia e il governo cinese.

Il pericolo è rappresentato, spiega, dal capitalismo di stato cinese. Von der Leyen nota come la Cina non parli più di riforme, bensì di “douzheng” e “fendou”, termini ricorrenti al recente congresso del Partito Comunista in cui il presidente Xi Jinping ha ottenuto uno storico terzo mandato come segretario e, indirettamente, capo dello stato. Entrambi significano “lotta” e il timore di Bruxelles è di essere diventati l’utile idiota di Pechino nella sua strategia di annientare l’Occidente per assumere la guida del pianeta.

La numero uno della Commissione ha precisato che prendere atto di queste criticità non implica rinunciare alle relazioni economiche con la Cina. Ciò non sarebbe né possibile, né auspicabile, ha aggiunto. Più pragmaticamente, la posizione della tedesca va nella direzione di prendere atto che nell’ultimo decennio la Cina non ha avuto un rapporto alla pari con l’Europa. Lo spiegano i numeri: a fronte degli oltre 200 miliardi di euro di investimenti europei in Cina, solo 96 miliardi quelli cinesi in Europa nel 2021. E la bilancia commerciale si rivela un disastro: i prodotti importati dall’Unione Europea in valore superavano nel 2022 di 395,7 miliardi quelli esportati nel Dragone.

Relazioni Europa Cina verso il reset

Per certi versi, il discorso di von der Leyen può considerarsi storico.

L’Europa finora ha chiuso gli occhi dinnanzi ai rischi rappresentati dal modello cinese, in cui il capitalismo è eterodiretto dal governo ad uso e consumo degli interessi nazionali. Tuttavia, una svolta ad U non appare vicinissima. Paesi come la Germania restano fortemente dipendenti dalle esportazioni e, malgrado i saldi commerciali in rosso, vedono nel mercato cinese uno sbocco senza eguali per le proprie merci. I tedeschi avvertono di avere ancora più bisogno dei clienti cinesi dopo avere perso quelli russi.

Ma è innegabile che la Cina sia alleata della Russia sul piano geopolitico e la Commissione ha chiesto a Pechino un cambio di passo per non intaccare le relazioni diplomatiche e commerciali in maniera irreparabile. Xi è il migliore amico di Vladimir Putin in questa fase. In Asia si sta saldando un blocco ostile all’Occidente e che vede il coinvolgimento crescente di paesi sinora considerati terzi o persino amici di Europa e Nord America, tra cui l’Arabia Saudita e una sempre più ambigua India.

Nel discorso di von der Leyen c’è probabilmente la ricerca di nuovi equilibri politici interni, in vista delle elezioni europee del 2024. Tra poco più di un anno si rinnova l’Europarlamento. La futura maggioranza potrebbe essere spostata a destra, figlia di un asse tra PPE e ECR. Quest’ultima è la formazione conservatrice guidata dalla premier italiana Giorgia Meloni. La tedesca starebbe giocandosi la carta della ricerca del consenso a destra per sperare in un difficile secondo mandato. Ma c’è anche la pressione degli Stati Uniti a spingere per una svolta nelle relazioni con la Cina. Il mondo post-pandemico e post-bellico sta modellandosi su nuovi equilibri geopolitici, che vedono una suddivisione in blocchi con Occidente da una parte e Asia dall’altra. L’Europa non può immaginare di flirtare con la Cina per vendere qualche Volkswagen in più.

La attenderebbe la stessa fine fatta con il gas russo. Questione di tempo.

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