Niente luce, niente farmaci, niente cibo. Insomma, un paese nella disperazione più totale. Sono queste le condizioni in cui versa l’economia dello Sri Lanka. Il ministro delle Finanze, Ali Sabry, questa settimana è tornato da un incontro con i dirigenti del Fondo Monetario Internazionale, spiegando al Parlamento che un accordo per ottenere prestiti sarà possibile solo dopo che sarà stato ristrutturato il debito sovrano in mano ai creditori esteri. E ci vorranno almeno sei mesi. Peccato che di tempo il paese non abbia, perché lo stesso ministro ha ammesso che la banca centrale sia rimasta senza riserve valutarie.

In cassa disporrebbe di appena 50 milioni di dollari. Le importazioni sono state così ridotte ai prodotti estremamente necessari, ma con questa cifra è evidente che non si potrà acquistare più niente dall’estero.

Le cause della grave crisi economica

Ad aprile, le proteste di piazza sono sfociate nella violenza, provocando anche diversi morti. Tutti i 26 ministri del governo si sono dimessi, mentre al loro posto sono rimasti il presidente Gotabaya Rajapaksa e il fratello maggiore, il premier Mahinda. Sono i massimi esponenti di un clan familiare potente, di cui altri tre membri hanno rassegnato le dimissioni dalle loro cariche elettive in queste settimane convulse.

I fratelli Rajapaksa hanno notevoli responsabilità in questa crisi in cui è precipitato lo Sri Lanka. Dopo avere vinto le elezioni politiche, il nuovo premier attuò il promesso taglio delle tasse. Abbassò l’IVA dal 15% all’8% ed eliminò altre sette imposte, di cui una del 2% pagata dai costruttori. Ovviamente, tutto in deficit. E il disavanzo statale, complice la pandemia, nel 2020 esplodeva all’11,1% del PIL. A causa dell’assenza di turisti stranieri, poi, il paese assisteva a un calo costante delle riserve valutarie. Queste erano ancora a 8,9 miliardi nel giugno 2019, mentre nel gennaio di quest’anno sprofondavano già a 2,4 miliardi.

Il problema dello Sri Lanka è più grave di quanto ci s’immagini.

Il governo ha vietato l’anno scorso l’uso dei fertilizzanti chimici in agricoltura. Ambiva a fare dell’isola il primo paese dell’Oceano Indiano con l’agricoltura biologica al 100%. Ma il risultato di una misura così demenziale è stato il tracollo dei raccolti, tra cui di tè, cannella e verdure nell’ordine del 25-30%. In teoria, ciò avrebbe consentito di tagliare le importazioni, dato che quelle relative ai fertilizzanti chimici ammontavano a 1,26 miliardi di dollari nel 2020. Tuttavia, il risultato è stato il tracollo della produzione interna, aggravato dall’impossibilità di importare alcunché per l’assenza di dollari rimasti in cassa. E così, milioni di cingalesi sono costretti a stare lunghe ore in fila per fare la spesa, salvo spesso non trovare neppure lo stretto indispensabile.

Sri Lanka in default sul debito estero

Per cercare di limitare i pagamenti verso l’estero, nelle scorse settimane lo Sri Lanka ha dichiarato ufficialmente default su 51 miliardi di dollari di debito estero, di cui 7 miliardi in scadenza quest’anno. Adesso, chiede che la Banca Mondiale aumenti gli aiuti da 400 a 700 milioni di dollari, dato che il deficit di bilancio si rivelerà ben maggiore delle previsioni. Al contempo, il governo si è impegnato a innalzare le entrate dall’8,7% del 2021 al 14% del PIL entro un paio di anni.

L’opposizione di United People’s Force ha presentato una mozione di sfiducia al governo, accusandolo di avere provocato il collasso dell’economia nazionale. Tra l’altro, anche il governatore centrale Ajit Cabraal si è dimesso. Ha svalutato la rupia troppo tardi e non è stato in grado di arrestare la corsa dell’inflazione, esplosa al 50% per i generi alimentari e al 70% per i trasporti. Un paese allo stremo, ostaggio di una famiglia al potere che non vuole sentirne di lasciare le cariche e assumersi la responsabilità del peggiore tracollo economico dall’indipendenza da Londra del 1948.

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