Molti di voi non l’avranno mai sentito nominare e probabilmente rimarranno sorpresi della sola esistenza di questo paese. Sapevate che tra le montagne dell’Himalaya, nell’Asia Orientale, compreso tra le grandi nazioni di Cina e India c’è un piccolo regno di nome Bhutan? Certo, in questo periodo storico e con il prezzo dal gas alle stelle, già solo il nome di questo paese risulta essere, per noi italiani e non solo, molto attraente. Il Buthan conta poco più di 700.000 abitanti ed è grande meno di Sicilia e Calabria messe insieme.

Il paese è relativamente chiuso al mondo esterno e per raggiungerlo bisogna prendere un aereo dalla vicina India. Eppure, anni fa risultò da uno studio dei due psicologi Nathan DeWall e Roy Baumesiter dell’Università del Kentucky, come questo fosse il “paese più felice al mondo”. In effetti, guardando le immagini delle sue bellezze paesaggistiche ne deriva un senso di quiete e pace dell’anima. Stando ai due ricercatori, la cultura buddista, preservata gelosamente dalla popolazione locale, ha infuso un senso di serenità riguardo la morte. Anziché temerla, gli abitanti del regno cercano di sfruttare i giorni sulla Terra per migliorare la loro vita di tutti i giorni.

Numeri sul turismo in Bhutan

Il Bhutan non è un paese ricco. Possiede un PIL di neppure 3.200 dollari, circa un decimo dell’Italia. Ma nell’ultimo decennio è riuscito a triplicare il numero dei turisti, che prima del Covid erano arrivati a 316.000, apportando qualcosa come 120 milioni di dollari all’economia locale, quasi il 5% del PIL. In realtà, i numeri potrebbero essere ben maggiori se non fosse che proprio le istituzioni stanno cercando di frenare la crescita esplosiva del turismo. Motivo? Evitare di trasformarsi in una sorta di Thailandia.

Per regolare i flussi, dovete sapere che il regno del Bhutan ha imposto sinora un pacchetto minimo di 200-250 dollari al giorno ai viaggiatori stranieri, comprensivo di albergo, visite guidate, trasporti e cibo.

In più, bisognava pagare una tassa di soggiorno di 65 dollari al giorno. Dunque, nell’ipotesi migliore si spendeva non meno di 265-315 dollari al giorno e a persona. Fate voi per una famiglia. Ed ecco che il turismo in Bhutan è stato volutamente riservato a una fascia di élite.

A giugno, il Parlamento di Thimphu ha approvato una legge, che addirittura triplica la tassa di soggiorno per i turisti portandola a 200 dollari al giorno. In compenso, viene eliminato il pacchetto minimo di 200-250 dollari. Per i bambini di età compresa tra 6 e 12 anni il balzello risulta dimezzato, mentre fino ai 5 anni non si paga nulla. Stando alle autorità locali, questa riforma porterà più entrate allo Stato per potenziare uno sviluppo sostenibile del paese attraverso i servizi. Questi soldi serviranno per costruire infrastrutture e formare personale qualificato. Al contempo, l’eliminazione del pacchetto minimo consentirà agli stranieri di godere di servizi più attinenti alle loro richieste.

Tassa di soggiorno per frenare i flussi turistici

Per il momento, ai vicini indiani è riservato un trattamento di favore con la tassa di soggiorno di “soli” 15 dollari al giorno. Gli oppositori alla misura sostengono, però, che la politica del Bhutan abbia dato vita a un turismo elitario, non consentendo al grosso della popolazione mondiale di visitare questo piccolo paradiso terrestre. Dicevamo, proprio questo è stato e continua a essere l’obiettivo del regno, che di essere invaso da milioni di turisti “mordi e fuggi” che mettono in pericolo il suo ecosistema non ne ha proprio voglia. Una scelta che punta a salvaguardare l’ecologia personale e spirituale dei propri abitanti.

Peraltro, il modello Bhutan sta avanzando anche in aree del mondo insospettabili. A Venezia serve oramai pagare una tassa di soggiorno compresa tra 3 e 10 euro al giorno, a seconda del periodo dell’anno.

Anche in questo caso l’obiettivo consiste nel limitare gli ingressi e preservare la cittadina lagunare dalle conseguenze ritenute negative del turismo di massa. Il regno, tuttavia, ha comunque allargato un po’ le maglie delle regole a favore dei turisti, i quali potranno finalmente scegliere i propri itinerari, salvo quando facciano trekking o si avventurino in città come la capitale e Paro. Certo, la stangata non sembra favorire la ripresa dei flussi turistici dopo due anni di quasi azzeramento a seguito della pandemia. Ma forse nel paese più felice al mondo o presunto tale, poco importano i numeri.

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