C’era una volta il “terzo mondo”. A dispetto di quanto pensiamo, non si tratta-va formalmente di una dicitura appiccicata addosso alle economie povere. Che poi grosso modo quest’area del pianeta fosse e resti effettivamente sottosviluppata, è un altro paio di maniche. Con la divisione in blocchi subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, il “primo mondo” eravamo noi dell’Occidente sotto l’egida degli Stati Uniti, mentre il secondo ricadeva nella sfera d’influenza dell’Unione Sovietica. In pratica, c’era da una parte il gruppo di stati capitalisti e dall’altra quelli comunisti.

Infine, un blocco di paesi decideva di non schierarsi a priori né con l’uno, né con l’altro blocco. Nei fatti, spesso e in maniera ondivaga propendeva per uno dei due. Era quasi tutta l’Africa e buona parte del Sud America e dell’Asia.

Terzo mondo è oggi Sud Globale

Oggi, il terzo mondo non esiste più nelle definizioni geopolitiche per il semplice fatto che non esiste neppure più una spartizione del pianeta in due grandi blocchi. Da anni si preferisce adottare l’espressione di Sud Globale (“Global South”), che di per sé risulta imperfetta. Si tratta dei Brics nell’accezione più estesa, cioè delle cosiddette economie emergenti. Non si tratta di un blocco omogeneo di stati sul piano degli interessi geopolitici. In esso si trovano paesi come il Messico fortemente integrati, anche geograficamente, agli Stati Uniti, così come la Cina, che della superpotenza è diventata l’avversaria principale. Andando avanti, abbiamo anche Turchia, Brasile, India, Arabia Saudita, Nigeria, Pakistan. Insomma, ricchi, meno ricchi e poveri.

Rivolta contro Occidente

Da tempo l’ormai ex terzo mondo si è rivoltato contro l’Occidente, ennesima definizione da non intendere alla lettera (Giappone e Australia non sono propriamente ad Ovest). Da anni l’Arabia Saudita ha deciso di giocare in proprio le sue partite nel Medio Oriente.

Il principe ereditario Mohammed bin Salman non risponde neanche più al telefono alla Casa Bianca. Impensabile fino a poco tempo fa. In assoluta autonomia e contro il parere di Washington, gestisce la politica petrolifera dell’Opec andando contro gli interessi dei clienti occidentali.

Influenza calante dell’Occidente in Medio Oriente

In questi mesi, i segnali di allontanamento del terzo mondo dall’Occidente si sono moltiplicati con grande rapidità. Il Sudafrica ha portato Israele dinnanzi alla Corte Penale Internazionale con l’accusa di genocidio ai danni dei palestinesi nella Striscia di Gaza. La Turchia di Recep Tayyip Erdogan flirta a tratti con la Russia, in barba alla sua stessa appartenenza alla Nato. E quando domenica scorsa è morto in un incidente aereo il presidente iraniano Ebrahim Raisi, decine di capi di stato e di governo hanno espresso cordoglio a Teheran, incuranti della possibile reazione negativa di Washington.

Ai funerali di Raisi vi hanno partecipato 22 delegazioni nazionali, pur non tutte di altissimo livello. Ad ogni modo, non c’è stato il deserto che ipotizzavamo. L’Iran è tornata sotto embargo da quasi sei anni, eppure continua ad aumentare le esportazioni di petrolio sotto gli occhi rassegnati degli americani. A comprare sono, soprattutto, India e Cina, che non mostrano alcun timore nei confronti delle possibili conseguenze legali negli Stati Uniti. L’ex terzo mondo ha acquisito forza e consapevolezza al punto tale da iniziare a sfidare apertamente l’Occidente e il ruolo ancora assoluto del dollaro come valuta di riserva mondiale.

Africa sempre più vicina a Russia e Cina

Qualche mese fa, in Senegal ha vinto le elezioni presidenziali un leader anti-francese e filo-russo. Ha promesso di tirare fuori il paese dall’unione monetaria, in pratica volendo rimpiazzare il franco CFA con una moneta sovrana. Nell’area vi sono stati già diversi colpi di stato negli anni, dal Mali al Niger, tutti con l’obiettivo di spodestare i regimi filo-occidentali e stringere alleanze con Russia e Cina.

A Teheran ha presenziato ai funerali il presidente tunisino Kais Saied. Questi da anni chiede un prestito al Fondo Monetario Internazionale senza ottenerlo. Ha fatto intendere espressamente che cercherà altri creditori, rivolgendosi alla Cina.

Guerra russo-ucraina momento di rottura

La guerra tra Russia e Ucraina ha acuito questa tendenza. Il Sud Globale o terzo mondo che dir si voglia vede nel conflitto la contrapposizione tra Occidente e tutto il resto del pianeta che non riesce a controllare. E, ça va sans dire, tifa sottovoce in favore di Mosca. L’ONU è ormai appannaggio di questo folto gruppo di stati, anche se i poteri di incisione sono limitati dal Consiglio di Sicurezza permanente, in cui l’Occidente gode ancora della maggioranza numerica (Stati Uniti, Regno Unito e Francia contro Russia e Cina). Ma nel Palazzo di Vetro il timore reverenziale verso il padrone di casa, se vogliamo, è ormai quasi nullo.

Globalizzazione crea interdipendenza

Da cosa dipende questa svolta geopolitica? Le emergenti hanno assunto un peso economico ormai non più ignorabile grazie alla globalizzazione. E sul piano demografico dettano legge. Non solo l’Occidente incide per appena un ottavo della popolazione mondiale, ma oltretutto ha una popolazione in declino per via delle basse nascite. Il terzo mondo sarà mediamente assai meno ricco di noi, ma fa figli, cresce e vede dinnanzi a sé un futuro. Ciliegina sulla torta: dispone delle materie prime per la produzione e indispensabili alla transizione energetica, perseguita paradossalmente con assoluta priorità proprio da noi occidentali che ne siamo sprovvisti.

Il vantaggio “ideale” del terzo mondo

Il famoso “club delle democrazie” sta arretrando sia in termini di peso economico che di influenza geopolitica. Gli altri sanno che siamo diventati troppo dipendenti da loro per poterci permettere il lusso di una guerra o di uno scontro economico-finanziario frontale.

Il terzo mondo ci fornisce non solo materie prime, ma anche manufatti, semilavorati e prodotti finiti, essendo sede operativa delle nostre stesse multinazionali. E cosa forse persino più importante, sa che noi non siamo più disposti a combattere per valori come patria e ideali (quali?). Abbiamo la pancia piena, diamo per scontati benessere e conquiste sociali e riteniamo di avere molto da perdere andando al fronte. Un segnale di estrema debolezza nei confronti di chi ancora oggi è disposto a imbracciare le armi per difendere sé stesso e la propria etnia.

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