Complice la mancata crescita del PIL nell’Area Euro nel quarto trimestre del 2022, l’ultimo board della Banca Centrale Europea (BCE) non è riuscito a sostenere il cambio euro-dollaro. Al contrario, questi è sceso ieri sotto la soglia di 1,07 per la prima volta da oltre cinque settimane. Poco prima dell’ultimo rialzo dei tassi d’interesse annunciato dalla BCE, aveva toccato 1,10. E non sono solo i dati macro contrastanti ad invitare il mercato alla prudenza. La linea di comunicazione a Francoforte appare sempre più confusa.

Il governatore Christine Lagarde ha invitato più volte i governi dell’area a ridurre gli aiuti a famiglie e imprese contro il caro bollette, concentrandoli a favore della fascia della popolazione più bisognosa. Ella sostiene, non a torto, che questi stimoli fiscali finiscono per tenere alti i consumi e, di conseguenza, i prezzi. A sua volta, questa situazione renderebbe più duro il lavoro della BCE per combattere l’inflazione.

Ieri, però, è arrivato un messaggio di segno opposto. Il governatore centrale spagnolo Pablo Hernandez de Cos ha dichiarato che “il ritiro delle misure di sostegno fiscale potrebbe rendere l’inflazione più persistente”. Il consigliere del board ha altresì prospettato una discesa dell’inflazione più rapida delle previsioni, pur suggerendo prudenza nell’attesa dei nuovi dati per verificare l’impatto dei rincari energetici passati e delle misure di politica monetaria fin qui adottate.

Su tassi BCE prevarranno falchi a marzo

In pratica, da Francoforte arriva ai governi un messaggio contraddittorio sull’opportunità di proseguire a sostenere famiglie e imprese con sussidi contro il caro energia. In realtà, le affermazioni di de Cos tradiscono la sua natura di “colomba” nel board. Egli punta a contenere il rialzo dei tassi BCE, già saliti al 3%. Un’operazione resa più difficile dal recente indebolimento dell’euro e dalle accresciute probabilità che la Federal Reserve spinga i tassi d’interesse negli Stati Uniti fino al 5,50%.

Non ultima, poi, c’è la rotazione dei membri votanti. Al prossimo board di marzo, su 21 ammessi a votare solamente 7 saranno “colombe”. Tra questi, gli italiani Fabio Panetta e Ignazio Visco. I restanti 14 saranno “falchi” e spingeranno per aumentare i tassi di un altro 0,50% e per prospettare un’ulteriore stretta al board di maggio.

Il rapporto tra “falchi” e “colombe” sarà, quindi, di 2 a 1. Grosso modo come il 2 febbraio scorso, quando a votare furono in 15 “falchi” contro solo 6 “colombe”. Invece, il rapporto di forze risulterà più equilibrato a maggio: 12 a 9. Sarà con ogni probabilità in quell’occasione che, sulla scorta dei dati macro auspicabilmente favorevoli, il rialzo dei tassi BCE cesserà e la comunicazione ufficiale dell’istituto diverrà meno dura. Per allora, però, dovrebbero verificarsi due condizioni: anzitutto, che l’inflazione avrà continuato a scendere decisamente e che la crescita del PIL nell’Area Euro segnali qualche difficoltà.

Da qui a un attimo prima che sarà segnalato un cambio di passo, però, Lagarde non vorrà mostrarsi titubante sul rialzo dei tassi BCE. E ciò per la semplice ragione che eventuali incertezze rischiano di fare andare i mercati nella direzione contraria a quella desiderata. In sintesi, che i prezzi delle materie prime salgano e che l’euro scivoli. La lotta contro l’inflazione si farebbe più dura, lunga e il rischio di recessione aumenterebbe.

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