Quando in Italia saranno le ore 14.30, gli Stati Uniti pubblicheranno il dato sull’inflazione nel mese di marzo. Sarà un appuntamento fondamentale per capire una volta per tutte se il taglio dei tassi di interesse sia realmente vicino o sarà procrastinato. Per la prima volta dopo numerosi mesi, ieri il mercato lanciava segnali di prevalente scetticismo. I derivati di CME Group indicavano sotto il 50% le probabilità di una riduzione del costo del denaro a giugno. Anche se oggi tale percentuale risulta risalita complessivamente al 54%, nei fatti gli investitori restano divisi quasi 50:50 sulle prossime mosse della Federal Reserve.

E dopo che la stima sull’inflazione è stata diffusa ed è risultata ancora una volta sopra le previsioni al 3,5% annuale (3,8% il dato “core”) dal 3,2% di febbraio, il taglio dei tassi a giugno è ora scontato con probabilità di appena il 20,7%. In pratica, è adesso atteso per settembre, tre mesi dopo di quanto scontato fino a poche ore fa.

Inflazione ancora sopra i target

Non è facile capire come si muoverà il governatore Jerome Powell. Egli ha ad oggi un’inflazione al 3,2%, nettamente sopra il target del 2% e anche per marzo è attesa in accelerazione su base annua. E poi, perché rincorrere il taglio dei tassi quando l’economia americana va bene? Il mercato del lavoro resta in piena occupazione, anzi i nuovi posti creati sorprendono sempre in positivo. Il Pil sale e nulla per il momento lascia intravedere una recessione in arrivo. Certo, i dati sono almeno in parte “drogati” dall’eccesso di spesa pubblica di questi anni. E in vista delle elezioni di novembre, l’amministrazione Biden non ha alcuna intenzione di tendere a un bilancio federale più equilibrato.

Domani si riunisce la Banca Centrale Europea (BCE). Il taglio dei tassi quasi certamente non ci sarà, ma nell’Eurozona la situazione è molto diversa rispetto agli Stati Uniti.

L’economia è in stagnazione, mentre l’inflazione è scesa al 2,4% a marzo, vicino al target del 2%. E le elezioni europee sono alle porte. Ma il board resta preoccupato della dinamica salariale da un lato e dell’inflazione “core” dall’altro, cioè dalla crescita dei prezzi al consumo al netto di energia e generi alimentari. Questi era ancora al 2,9% a marzo.

BCE divisa e intimorita

Nessuno si aspetta un annuncio, ma il mercato cercherà di captare qualche segnale dal comunicato e dalla conferenza stampa di Christine Lagarde. Ci sarà l’apertura al taglio dei tassi a giugno? E’ l’ipotesi che va per la maggiore. La discussione, semmai, si starebbe spostando in seno al board su un altro piano: di quanto tagliare. I “falchi” premono per una riduzione dello 0,25%, le “colombe” vorrebbero lo 0,50%. Ma, soprattutto, i primi accetterebbero l’avvio dell’allentamento monetario a giugno senza che abbia un seguito a luglio. Le seconde reclamano un secondo taglio dei tassi all’appuntamento successivo.

In sostanza, conteranno i ritmi. Che la BCE allenti la sua politica monetaria, è un dato scontato. Ma è sull’entità di tale allentamento che esistono parecchi dubbi tra gli investitori e cautele tra i governatori centrali stessi. Del resto, il cambio euro-dollaro resta inchiodato sotto 1,10. In queste ore, viaggia a 1,0850. Segnala che nessuno crede che la divergenza monetaria tra Fed e BCE si ampli in un senso o nell’altro. In teoria, però, la moneta unica si sarebbe dovuta indebolire sulle aspettative di un taglio dei tassi rinviato negli Stati Uniti. Evidentemente, ad esse si contrappongono aspettative altrettanto “hawkish” per l’Eurozona.

Taglio dei tassi appeso al dato odierno sull’inflazione

Se andiamo a vedere i rendimenti sovrani, notiamo una loro risalita nell’ultimo mese sia per T-bond che Bund. I primi sono passati dal 4,10% al 4,36% sul tratto decennale, i secondi dal 2,30% al 2,36%.

Si allarga lo spread ai danni dei titoli americani di una ventina di punti e ciò ha nel frattempo depresso il cambio euro-dollaro da 1,094 a 1,085. La BCE lo tiene sott’occhio. Se cadesse verso la parità, i costi dei beni importati salirebbero, accentuando i rincari di alcune materie prime come il petrolio. E l’inflazione tornerebbe a surriscaldarsi. Fintantoché a Francoforte non sappiano cosa farà prima Atlanta, non si potranno sbilanciare più di tanto. Ecco perché il dato odierno sull’inflazione negli Stati Uniti sarà forse monitorato con maggiore apprensione da Lagarde che non da Powell.

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