Il 1992 resta nell’immaginario nazionale il funesto “annus horribilis” dell’Italia. Non a torto. Troppe cose storte andarono quell’anno: crollava la Prima Repubblica sotto i colpi inferti dal pool di Mani Pulite, venivano uccisi i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino con le rispettive scorte, la malavita organizzata rapiva il piccolo Farouk Kassam e teneva l’Italia per settimane con il fiato sospeso, il governo Amato varava una finanziaria “lacrime e sangue” per risanare i conti pubblici e, dulcis in fundo, la svalutazione della lira.

Per capire come si arrivò a quest’ultimo evento, però, bisogna tornare indietro di oltre due anni e mezzo. Era il gennaio del 1990 e l’allora governatore della Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi, annuncia che d’ora in avanti la lira italiana avrebbe oscillato all’interno di una “banda stretta” del 2,25% contro il marco tedesco. Fermiamoci un attimo. Nel 1979, a quasi 8 anni dal collasso degli accordi di Bretton Woods, i membri della Comunità Economica Europea fondarono lo SME (Sistema Monetario Europeo), un sistema di cambi semi-fissi prodromico all’euro e che prevedeva oscillazioni tra le valute molto strette. All’Italia venne concessa un’oscillazione più ampia, vale a dire del 6%, in considerazione della sua difficoltà a tenersi dentro una banda più stretta. Ma nel 1990, Ciampi decise che fosse arrivata l’ora di mettersi al pari con le altre economie europee, fissando un limite di oscillazione in alto e in basso del 2,25% rispetto alla parità di 748,56 contro il marco.

Perché lo fece? In primis, per combattere l’inflazione. Il maggiore deprezzamento della lira provocava annualmente una maggiore crescita dei prezzi al consumo. Secondariamente, per cercare di recuperare credibilità sui mercati, in vista della nascita dell’euro, già nell’aria. Terzo, per via delle pressioni degli altri governi, che non comprendevano la ragione per cui l’Italia avrebbe dovuto godere di uno status speciale.

Fatto sta che nel 1992 le cose iniziano a non andare come si pensava. La Bundesbank aveva iniziato ad alzare i tassi nel triennio 1990-’92, al fine di contrastare l’accelerazione dei tassi d’inflazione dopo la riunificazione delle due Germanie. Se il costo del denaro tedesco era ancora del 6% nell’agosto del 1990, nel luglio del 1992 era salito all’8,75%. Inevitabilmente, l’Italia doveva seguirne le scelte (ah, quanto eravamo “sovrani” con la lira), altrimenti i capitali sarebbero defluiti verso la Germania, destabilizzando il cambio e minacciando la nostra permanenza nello SME. Ciampi i tassi effettivamente li alza, ma commette un errore pacchiano quell’estate, vale a dire di esternare il suo “dolore” per quella misura. E così, il 6 luglio alza il tasso ufficiale di sconto (TUS) dal 12% al 13%, ma già il 17 dello stesso mese si trova costretto a intervenire con un nuovo rialzo al 13,75%. Perché? I mercati non avevano digerito quella doglianza e i capitali avevano accentuato la fuga, specie dopo che la notte del 10 luglio il governo aveva imposto un prelievo forzoso del 6 per mille sui conti correnti.

La drammatica estate ’92

Per tutta l’estate, Bankitalia cercò di difendere il cambio. Anzi, aveva iniziato a farlo da inizio anno, se è vero che nei primi 9 mesi dell’anno “brucia” riserve valutarie per 50 mila miliardi di lire (12 mila miliardi nel solo mese di luglio), qualcosa come oltre 25 miliardi di euro attuali. Tuttavia, a settembre la situazione diventa insostenibile. Di quel passo, Palazzo Koch sarebbe rimasta a corto di dollari, marchi, etc., per importare beni e servizi dall’estero. La bilancia dei pagamenti sarebbe entrata pericolosamente crisi. Da qui, la decisione di abbandonare lo SME attraverso la svalutazione della lira. In pochi mesi, il cambio contro il dollaro passa dai 1.078 lire di fine agosto ai 1.583 della primavera ’93.

Il crollo è del 32%. Contro il marco, la lira passa da 760 a 1.000, perdendo fino al 24%.

Ad avere scatenato le vendite di lira e sterlina fu il finanziere George Soros, che con il suo fondo Quantum scommise contro le due valute e guadagnò miliardi di dollari in pochi giorni. I detrattori sostengono che l’uomo sia stato un cospiratore contro l’Italia, in combutta con presunti poteri deviati dello stato. Ma la situazione è assai più facile da spiegare. Il 2 giugno di quell’anno, la Danimarca aveva votato contro l’ingresso nell’euro al referendum. L’Italia aveva firmato il Trattato di Maastricht di febbraio, ma versava in condizioni fiscali assai critiche e non presentava praticamente alcun indicatore macro in linea con i criteri fissati. Il Regno Unito decise di tenersi la sterlina e si rifiutò di seguire la Germania sulla via del rialzo dei tassi. Ecco perché nel mirino di Soros finirono queste due valute.

Sul piano strettamente macro, vi erano ragioni alla base della svalutazione della lira. Nel triennio 1990-’92, l’inflazione cumulata in Italia era stata del 19%, in Germania del 12,75%. Il differenziale si aggirava, quindi, sopra il 6%, a fronte di un deprezzamento della lira consentito nel periodo solo per l’1,5%. Dunque, rimaneva qualche margine da recuperare per tenersi al passo con il marco tedesco, ma certo non nell’ordine del 25-30%, com’è accaduto di fatto con la svalutazione di settembre.

Fu complotto a beneficio dei soliti pochi?

Altro aspetto sospetto riguarda la fuga dei capitali di quell’estate per quasi 26 mila miliardi di lire, più di 13 miliardi di euro al cambio che verrà fissato successivamente. Quei capitali rientrarono subito dopo che la lira aveva toccato il fondo contro il dollaro, finendo per guadagnare qualcosa come almeno il 30%. In sintesi, molti investitori avevano comprato dollari con la lira forte ed erano tornati a comprare lire quando il cambio era collassato. Una speculazione, che parte dell’opinione pubblica ritiene essere stata frutto di un complotto vero e proprio ordito ai danni del sistema Italia.

In sostanza, alcuni grossi capitalisti si sarebbero arricchiti con la svalutazione della lira.

In realtà, più che complotto vi fu un errore drammatico commesso da Ciampi. Egli si ostinò a difendere la lira per mesi e mesi, quando sembrava inevitabile una sua svalutazione successiva. Di fatto, Bankitalia “finanziò” gli speculatori, consentendo loro di portare all’estero i capitali con la lira forte e di rientrare quando si era ridotta a carta straccia.

Ma da qui a sostenere la tesi del complotto ne corre. E’ tipico delle banche centrali difendere la propria credibilità con azioni spesso di corto respiro, tese più che altro a guadagnare tempo e nella speranza che funzionino per almeno ridurre l’entità della speculazione. Tuttavia, la svalutazione della lira avvenne per ragioni ben precise: l’economia italiana era un mix di debito pubblico e deficit alle stelle, alta inflazione, crescita che si dirigeva verso lo spegnimento dopo gli anni della sbornia e di instabilità politica incontrollata. Scommettere contro la lira non fu un’operazione così difficile, semmai Soros fece quanto per ragioni forse più politiche che macro non avevano avuto il coraggio di fare, rivelandosi certamente un finanziere cinico, ma obiettivamente non commettendo alcuna illegalità.

Se non ci fosse stata la banda stretta, probabilissimo che la speculazione non ci sarebbe stata, ma così come neppure la pre-condizione per entrare nell’euro, vale a dire la convergenza dei tassi d’interesse e d’inflazione con i paesi virtuosi dell’area. In quel caso, Ciampi non commise l’errore, semmai fu la sfera politica a non comprendere le implicazioni fiscali che tale scelta avrebbe comportato, così come non lo aveva compreso dopo quel famoso “divorzio” tra Bankitalia e Tesoro nel 1981. La banda stretta avrebbe richiesto un risanamento dei conti pubblici immediato per contenere le spinte inflattive e accompagnare il rialzo dei tassi, creando un mix favorevole al cambio. Ma la Prima Repubblica si avviava allegramente al collasso senza capirlo.

[email protected]