Il dato non è nuovo, anche se la stampa italiana lo propina come tale ciclicamente: gli stipendi dei lavoratori italiani nel 2020 risultavano più bassi rispetto al 1990 in termini reali del 2,9%. Cosa significa? Fatto 100 quanto un italiano guadagnava nell’anno dei mondiali di calcio in casa, in pandemia percepiva 97,1 al netto dell’inflazione del periodo. Alla base di questo trend negativo, unico tra le economie avanzate, c’è la bassa produttività. Tra il 1995 e il 2022, ad esempio, questa è cresciuta in media solamente dello 0,4% all’anno.

Negli ultimi anni è andata pure peggio, se è vero che le retribuzioni sono aumentate di pochissimo, a fronte di tassi d’inflazione schizzati fin sopra l’8% nel 2022. Soluzioni immediate e facili non ne esistono, anche se il ricorso più diffuso alle stock option può aiutare.

Come funzionano per i lavoratori

Le stock option sono piani retributivi incentivanti. Le aziende sono solite prevederli in favore dei manager, sebbene negli Stati Uniti ne beneficino anche molti lavoratori dipendenti. Non è così in Italia, dove lo strumento è guardato con sospetto dal mondo sindacale. Complice lo scarso numero di società quotate in borsa, non è mai realmente decollato a livelli di grandi numeri. Ne sentiamo parlare quando si tratta di un amministratore delegato di una grossa società o banca, quasi mai con riferimento alla più vasta platea dei dipendenti.

Cerchiamo di capire il funzionamento delle stock option, che è piuttosto semplice. L’azienda può assegnare ai dipendenti il diritto a sottoscrivere un certo numero di azioni proprie a una certa data e a un dato prezzo (“strike price”). Questa è la forma classica di opzioni, ma neanche la più attraente. Più diffuse sono le stock purchase, che consistono nella facoltà assegnata al dipendente di acquistare le azioni a un dato prezzo. Infine, ci sono le stock grant, le più allettanti: al dipendente vengono assegnate le azioni subito a titolo gratuito.

Aggancio dei salari ai profitti

Cosa succede nel caso in cui i prezzi in borsa salgono? Il lavoratore troverà conveniente incassare la differenza tra il prezzo di mercato e il costo di “acquisto”, avvenuto in uno dei tre modi sopra indicati. La plusvalenza sarà un guadagno, ossia anche una forma di retribuzione supplementare e, in quanto tale, sottoposta a tassazione ordinaria. Ecco come le stock option possono rivelarsi favorevoli ai lavoratori. Consentono loro di partecipare agli utili d’impresa, cioè anche ai risultati della borsa.

E negli ultimi decenni, praticamente quasi ovunque nel mondo avanzato (e non solo), la quota dei salari sul Pil è andata scendendo in favore di quella dei profitti. Le stock option possono essere uno strumento utile per agganciare i salari ai profitti. E’ chiaro che non sia la soluzione alla bassa crescita dei primi, se non eventualmente nell’attesa che venga rilanciata la produttività. Il primo ostacolo in Italia riguarderebbe la capacità di fare massa critica. Essendo già poche le società quotate in borsa, servirebbe che molte di esse offrissero programmi di stock option al fine di segnare un “benchmark” retributivo per il resto del mercato.

Stock option, conseguenze anche per pmi

Tuttavia, un’ampia diffusione delle stock option avrebbe effetti sulla stessa produttività. Le azioni in borsa salgono se il trend dei profitti aziendali è positivo. E questo dipende tra l’altro proprio dalla produttività del lavoro, pur non soltanto. I lavoratori beneficiari di piani incentivanti sarebbero maggiormente motivati a fare bene, consapevoli che aumenterebbero indirettamente le loro stesse retribuzioni. Scatterebbe quel processo d’identificazione con l’azienda, che spesso manca e che è alla base di tante inefficienze. A cascata, anche le piccole e medie imprese lontane da Piazza Affari dovrebbero migliorare i loro schemi retributivi se non volessero assistere alla fuga delle risorse umane in direzione delle grandi imprese quotate.

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