Questo sarà quasi certamente il terzo anno in cui gli Stati Uniti chiuderanno con un saldo negativo della bilancia commerciale sopra i 1.000 miliardi di dollari. Il disavanzo nei primi sei mesi del 2023 superava i 542 miliardi. Nell’intero 2022, è stato di oltre 1.177 miliardi. Numeri che rimarcano l’incapacità della superpotenza mondiale di rendersi più competitiva con il resto del mondo. Allo stesso tempo, pongono l’accento sulla necessità che anche a Washington si inizi a parlare di austerità fiscale. Il debito federale è esploso ormai a ridosso del 130% del PIL.

Le previsioni del Congresso parlano di oltre il 180% entro 30 anni. La spesa per interessi lievita e pesa sui bilanci.

Saldo negativo con UE su import-export

Gli squilibri dei conti pubblici non fanno che provocarne altri di natura commerciale. In economia, ciò è noto con l’espressione deficit gemelli. In sintesi, quando uno stato è in deficit, sovra-consuma. Se ciò accade, l’economia tende ad importare di più. Le passività croniche della bilancia commerciale negli Stati Uniti risentirebbero proprio del lassismo fiscale degli ultimi decenni. Tuttavia, Washington di tutto sembra voler sentire parlare, tranne che di sottoporsi a una cura dimagrante. Mettetevi nei suoi panni: può continuare a indebitarsi senza rischiare nulla di serio grazie al fatto di stampare il dollaro, la valuta di riserva mondiale.

Sarebbe come dire a una persona che mangia troppo e che non ingrassa di adottare una dieta più sana. Non ne vedrebbe granché il motivo. Probabile, invece, che gli Stati Uniti abbiano iniziato da tempo a stancarsi dell’austerità europea. In media, ogni anno acquistano merci dall’Unione Europea per 200 miliardi di dollari in più di quanto non ne vendano in essa. In termini percentuali, troviamo che le importazioni di prodotti UE pesano per poco più del 2% del PIL degli Stati Uniti, esattamente quanto le importazioni di prodotti Made in USA sul PIL UE.

Il fatto è che quest’ultimo potrebbe essere ben maggiore se solo i governi del Vecchio Continente optassero per una politica fiscale espansiva.

Crisi debito e bilancia commerciale

Il discorso sarebbe questo. Gli Stati Uniti hanno due necessità: che gli europei continuino ad acquistare il loro debito e che facciano altrettanto e di più con le loro merci. Se Zio Sam s’indebita, è necessario che le altre economie ricche del pianeta abbiano sufficienti risparmi per finanziarlo. E ciò è possibile con politiche di austerità fiscale, cioè che comprimano i consumi e stimolino il risparmio. Tuttavia, così facendo si deprimono le esportazioni americane. Fino ad oggi, abbiamo dato per scontato che per Washington sia preferibile sostenere l’economia a colpi di debiti e, quindi, che la Casa Bianca veda di buon occhio l’austerità europea.

In realtà, da qualche tempo le cose stanno cambiando. Già l’elezione di Donald Trump nel 2016 avvenne in un clima di rabbia popolare per le delocalizzazioni massicce dell’industria. Gli americani lamentavano e continuano a lamentare di dover importare quasi tutto dall’estero, esportando in cambio posti di lavoro. In teoria, proprio adesso che il debito degli Stati Uniti inizia a fare paura, l’austerità degli altri sarebbe più che mai indispensabile per renderlo sostenibile. Ma è altresì probabile che il governo stia ribaltando il ragionamento: “il debito serve a sostenere un’economia altrimenti depressa, meglio sarebbe ravvivarla puntando sulle esportazioni”.

Austerità europea fastidio per Stati Uniti

Se questa fosse la linea di pensiero a Washington, l’austerità europea darebbe fastidio. Solo aumentando i consumi interni, l’Unione Europea riuscirebbe ad importare di più dagli Stati Uniti. Non dimentichiamo che già sul finire della presidenza Obama, la Cina fu presa di mira a colpi di dazi per le sue politiche di dumping commerciale. E le tensioni sono cresciute nell’ultimo decennio anche con Bruxelles.

Come ignorare il fastidio degli americani per la forte dipendenza energetica europea dalla Russia? Non è soltanto una questione geopolitica. Se paesi come la Germania riescono ad importare gas e petrolio a basso costo, naturale che poi diventino imbattibili sul fronte delle esportazioni.

Malgrado l’apparente unità granitica dell’Occidente contro la Russia, le divisioni tra Stati Uniti e asse franco-tedesco sono notevolmente cresciute negli ultimi tempi. L’amministrazione Biden vuole esportare di più in Europa e, chiaramente, importare di meno. Anche nel Secondo Dopoguerra le amministrazioni americane si trovarono in rotta di collisione con paesi come Germania e Italia, rei di perseguire politiche fiscali restrittive. Da Washington la lamentela arrivò chiara e forte nel continente: “non è per questo che vi abbiamo aiutati tramite il piano Marshall“. Ergo, l’austerità europea ha fatto comodo agli Stati Uniti fintantoché è servita a finanziare i suoi enormi deficit fiscali. Adesso, gli alleati intendono risolvere il problema alla radice. Ovviamente, dal loro punto di vista: non saranno loro a tagliare il disavanzo, ma noi a doverne fare di più.

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