Il Consiglio di Stato ha messo la parola fine alla querelle sulle concessioni per gli stabilimenti balneari. Anzi, sarebbe il caso di dire “avrebbe”, perché in Italia siamo capaci di andare ben oltre i tempi supplementari e gli stessi calci di rigore. Il giudice amministrativo ha pubblicato il 30 aprile la sentenza 3940/2024 emanata il 12 marzo scorso con cui sollecita le amministrazioni pubbliche a mettere in gara le concessioni, non essendo possibile prorogarle oltre la loro scadenza fissata dal legislatore per il 31 dicembre 2023.

Ha così respinto il ricorso di un concessionario di Rapallo, ribadendo che le spiagge italiane sono una “risorsa scarsa”.

Stabilimenti balneari nel mirino della Bolkestein

E adesso cosa succede? Nessuno può dirlo con certezza. Tutto risale al 2006, anno in cui fu emanata dalla Commissione europea la direttiva Bolkestein per la liberalizzazione dei servizi all’interno dell’Unione Europea. Fu recepita in Italia con legge del 2010. Ma il nostro Paese non ne ha ad oggi previsto l’applicazione per le concessioni relative agli stabilimenti balneari. E’ stato possibile per i titolari, quindi, mantenere la concessione a tempo indeterminato senza alcun bando di gara per la loro assegnazione.

Spiagge risorsa “scarsa” per giudice e UE

Il governo di Giorgia Meloni con il decreto Milleproroghe 2022 decise di prorogare al 31 dicembre 2024 l’attuale condizione. Ma per il Consiglio di Stato il rinvio dopo il 2023 non sarebbe legittimo. Lo scorso anno, il governo procedette alla mappatura delle spiagge e sostenne che il suo esito dimostrasse che siano una “risorsa abbondante”. Infatti, gli stabilimenti balneari insistono solamente sul 33% dei km di coste disponibili, mentre il 67% resterebbe libero. Non la pensa così il giudice, secondo cui nel calcolo rientrerebbero le spiagge rocciose e le aree non balneabili, che per forza di cosa non andrebbero mai in concessione.

Il concetto di risorsa scarsa è determinante ai fini dell’applicazione della direttiva Bolkestein.

Il governo sostiene che esistano sufficienti km di spiagge libere in cui eventuali nuovi stabilimenti balneari potrebbero essere istituiti. Bruxelles si oppone e adesso anche la giustizia amministrativa italiana. Serve che i Comuni mettano a gara le concessioni sin da subito. A rigore, già da inizio anno queste risulterebbero scadute, ma è prevedibile che il governo debba metterci una pezza per evitare il caos. Già in queste settimane sulle spiagge i titolari si stanno preparando alla stagione estiva. E’ evidente che i bandi non possano essere indetti da qui a pochi giorni e non potranno mai e poi mai esitare i vincitori entro pochi mesi.

Interessi economici in gioco

Parliamo di 30.000 stabilimenti balneari a gestione perlopiù familiare, che impiegano in tutto 300.000 lavoratori. Il settore è da anni nel mirino delle istituzioni comunitarie per l’assenza di concorrenza nell’erogazione di un servizio così importante per l’economia italiana. Assobalneari sostiene che a rischio vi siano gli investimenti effettuati negli anni dagli attuali titolari. Parte della politica italiana, sostanzialmente coincidente con la maggioranza di governo, crede che dietro alle pressioni europee si celi il tentativo di grossi gruppi stranieri di mettere le mani sulle spiagge italiane.

Intendiamoci, la materia coinvolge interessi economici evidenti. Tuttavia, l’assetto attuale non è più giustificabile. Ci sono concessioni per stabilimenti balneari rilasciate decenni e decenni fa. E’ corretto che un privato goda di un bene demaniale per pochi spiccioli (altra questione annosa e che nessun politico sembra voler risolvere), appropriandosene di anno in anno come fosse suo? Ad essere leso è anche il diritto d’impresa. Perché mai non deve essere possibile per un nuovo imprenditore affacciarsi a questo mercato, che in moltissimi casi si rivela abbastanza redditizio?

Stabilimenti balneari, ora rischio multa UE

Il ministro del Turismo, Daniela Santanchè, ha parlato di “interlocuzione in corso” con Bruxelles e promette di difendere i 30.000 titolari degli stabilimenti balneari.

Ci sarebbe da difendere anche gli interessi di chi vorrebbe fare impresa e non può per l’assenza di gare, nonché dell’utenza italiana su cui ricadono i costi di una concorrenza ristretta o assente. Se da qui in avanti l’Italia non si adeguasse alla sentenza, rischierebbe di essere deferita dinnanzi alla Corte di Giustizia UE. In caso di condanna (assai probabile), le verrebbe comminata una maxi-multa. Nel migliore dei casi, i giudici si sono dovuti sostituire alla politica (ancora una volta) per mettere la parola fine su una vicenda grottesca.

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